Un riuscito romanzo sul lavoro: un’inedita versione al femminile del passaggio che accompagna le insicurezze personali verso la presa salda di una responsabilità. Ecco cosa è “Nina sull’argine” di Veronica Galletta, nuovo romanzo dopo la vittoria del Campiello opera prima. Con una protagonista, Caterina, che può ricordare Tino Faussone, protagonista di “La chiave a stella” di Primo Levi
Veronica Galletta torna in libreria con una nuova storia che segue al suo esordio di successo Le isole di Norman (Italo Svevo Edizioni, 2020, già Premio Campiello opera prima). Nina sull’argine (224 pagine, 16 euro) è il nuovo romanzo, pubblicato da Minimum Fax, che esplora il tema del lavoro e ha per protagonista Caterina, un’ingegnera trentenne al suo primo incarico importante. La salita che la aspetta davanti a questa sfida è, lavorativamente e al contempo sul piano personale, un percorso di comprensione, accettazione, deformazione e trasformazione che le prenderà un anno intero e la accompagnerà a scoprirsi e costruire metaforicamente argini, proprio come quello per il quale presiede il cantiere di Spina, frazione sperduta del nord Italia.
Signora… No, ingegnere
Un lavoro nuovo e di grande responsabilità, il primo del genere, un ufficio dove serpeggia lo spettro della corruzione, con arresti e intercettazioni, e un fidanzato che se ne va all’improvviso. È una torrida estate e Caterina non sa che da parte iniziare a raccogliere i cocci della sua vita e a tenere le redini del cantiere che dirige, e che servirà a costruire un argine sul fiume di Spina, soggetto ad alluvioni come accaduto di recente. I lavori sono destinati a durare un anno: saranno 4 stagioni e dodici mesi di ostacoli, inciampi e cose da imparare per la giovane ingegnera.
Intorno a lei, un coro di personaggi archetipici eppure anche profondamente umani. C’è per esempio il geometra dell’impresa che lavora in cantiere, Bernini. Suo coetaneo, ha iniziato presto a lavorare e gestisce le dinamiche del cantiere con praticità, già avvezzo alla prassi del compromesso. Ingessato in rapporti che non rispondono a quelli abituali del maschio medio o del geometra, si trova spiazzato nel chiamare Caterina signora e sentirsi rispondere ingegnera.
Il conflitto di genere, con cui Nina sull’argine si apre, è solo il primo di una serie di conflitti e ostacoli nella vita del cantiere e del suo ingegnere capo. Caterina arriva dal mondo accademico della teoria e delle idee, si sente inesperta nello scontro con i titanici e collosi problemi della realtà, deve tirare fuori una Caterina adulta che non sa ancora di avere dentro sé, disciplinare gli ideali e i valori con il compromesso, saper ricalibrare l’entusiasmo davanti ai vincoli imposti dalla realtà per tornare a godere appieno della bellezza del suo lavoro.
Sorta di Tino Faussone (il protagonista di La chiave a stella di Primo Levi) in chiave moderna, Caterina è un po’ l’emblema del trentenne contemporaneo iperspecializzato e non preparato alle montagne russe della vita. Ama e odia il proprio lavoro, due facce insopprimibili in un cantiere che lungo un anno diventerà metaforico cantiere per una nuova se stessa.
Nebbia da dissipare
Alla serenità della protagonista presiede, o tenta di farlo, l’assessore di Spina, politico abituato a nuotare in mezzo alle correnti avverse, pratico di leggerezza, quella di cui Caterina, ancora vulnerabile alle lame affilate del mondo e dei suoi abitanti, avrebbe bisogno. «Devi imparare a stare tranquilla. Fa parte di questo lavoro: imparare a stare tranquilli. Per ogni problema c’è una soluzione», le suggerisce Antonio, fantasmatica figura di operaio che appare e scompare, sfuggente come la nebbia che per una buona metà infesta questo romanzo.
Dopo l’avvio dei lavori, con una Caterina tentennante e non ancora solida al comando del cantiere, la stagione entra nel gelo invernale e le attività si cristallizzano in una forma di galaverna che congela l’anima della protagonista, in bilico sul suo percorso avanti e indietro tra casa e il cantiere. Un’autostrada da percorrere quasi a memoria, ingombra di una nebbia spessa che nasconde animali selvatici, che impedisce di scorgere il futuro e dalla quale, tra passato da scoprire e urgenza di confrontarsi, appare un operaio. Antonio è una creatura misteriosa: porta con sé una storia fatta di competenza e lealtà, concetti in cui Caterina crede, ma che sempre più di frequente, nella vita del cantiere, vede frantumarsi. Si sente spesso sola, il peso di due esami universitari lasciati indietro e mal recuperati morde il freno della sua crescita professionale: si legge inadatta, spaesata e non crede in sé stessa, ancor meno dopo la fine della storia con Pietro. Ma è pur sempre la stessa Caterina che ha accettato la responsabilità di un progetto complesso, e che rifiuterà glielo si tolga dalle mani, la stessa che sfascia i libri dell’ex fidanzato, lo mette alla porta insieme ai suoi scatoloni.
Costruire un argine: un affare complesso
«La nebbia fa questo effetto, quando è troppa. Si trasforma in dubbio, e dentro il dubbio lo spazio diventa circolare, senza uscita». È in mezzo a questa nebbia che Caterina impara a crescere, a diventare un vero ingegnere artefice del proprio lavoro e della propria vita, compensando con l’arte del compromesso i suoi squilibri interiori, adattandosi e imparando che le cose cambiano, e che costruire un argine è un affare complesso. I problemi, gli ostacoli, gli inceppamenti sul cantiere saranno numerosissimi, così come gli stimoli e gli inviti a cercare di capirsi, a costruirsi un percorso personalissimo e sicuro, un alveo in cui scorrere gestendo pericoli, improvvisate e onde di piena.
Bloccata tra una Caterina che fugge e una che la insegue, teme di aver fallito come ingegnere, di non essere in grado di dirigere il cantiere e portare a termine i lavori secondo le normative, teme le tolgano l’incarico, anche se a volte quasi lo spera: la stanchezza è insopprimibile, la fatica anche. La prova dell’argine di Spina è un attraversamento che Caterina deve gestire per approdare altrove, sull’altra sponda. Percorso professionale e personale si accompagnano: sono due cantieri, costruzioni da dirigere tra mille avversità, per cui sentirsi impreparati, galvanizzati, impauriti e inadatti. Eppure il cantiere di Spina procede e sommessamente, nell’apparente immobilità, anche Caterina cambia: i mesi trascorrono, tra normative, ideali presi a ceffoni, sapienza da coltivare dialogando con personaggi sfuggenti, imparerà l’arte di diventare adulti esercitando responsabilità sul lavoro, lotterà con il suo equilibrio in perenne ricerca di assetto.
Paesaggi e cambiamenti
«Forse è questo, crescere: capire che i fenomeni non sono reversibili, che ogni traccia lascia un’impronta. Che esiste una fatica, come nei materiali, e la fatica è un fenomeno pericoloso, dal quale bisogna preservarsi. Lo stesso materiale, sottoposto a carichi variabili nel tempo può arrivare a rottura, a cedimento per fatica, pur restando all’interno del suo limite di elasticità».
Nella descrizione puntuale, infarcita di tecnicismi ingegneristici sulla costruzione di un argine e del cantiere che la presiede, Veronica Galletta miscela con grande armonia la riflessione intima sulle difficoltà di un ingegnere trentenne, donna, al primo incarico, con il tema universale del lavoro, della sua etica e delle sue relazioni con la competenza, la puntualità, la corruzione, con la passione e l’entusiasmo, il rigore che animava il già citato Tino Faussone. Nina sull’argine è un romanzo sul lavoro? Sì, è un riuscito romanzo sul lavoro: un’inedita versione al femminile del passaggio non sempre lineare e sereno che accompagna le insicurezze personali verso la presa salda, a volte artificiale ma necessaria, di una responsabilità.
Dopo quattro stagioni trascorse in cantiere, gomito a gomito con una montagna di imprevisti, avanti e indietro lungo un’autostrada mandata a memoria, la neve si scioglie come i rapporti di Caterina con i colleghi. Si sciolgono i capelli in una ritrovata femminilità che ha saputo aspettare il rimarginarsi delle ferite e cambia la protagonista, accompagnata dal cantiere che procede, dal paesaggio che muta come lei: nulla resta fermo. L’estate successiva all’avvio dei lavori, ad argine ultimato, Caterina si sente diversa, trasformata, deformata da quanto è accaduto lungo un anno: l’odio per il cantiere, che così tanto le ha pesato sull’anima, si trasforma nella nostalgia per una sorta di argine al riparo del quale ha capito come curare le ferite e crescere dopo un’alluvione interiore. Può ripartire, consapevole e matura, ora, per capire di non dover smettere di porsi le domande che le indicheranno la strada verso una casa che non ha ancora trovato.
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