Il peso delle eredità matrilineari nel libro “Quello che so di te” di Nadia Terranova, tra autobiografia, riflessioni metanarrative, inchiesta storica, frammenti onirici e finzione. Attraverso la vicenda di una bisnonna finita in manicomio e la denuncia di un sistema patriarcale, l’autrice fa i conti con la responsabilità e la paura d’essere madre, senza riscontri accomodanti…
Nadia Terranova torna con un romanzo profondamente personale e universale, un’opera che intreccia memoria familiare, maternità e follia in un viaggio letterario intenso e poetico. Attraverso una narrazione ibrida tra autobiografia, inchiesta storica e finzione, l’autrice esplora le ombre di un passato manicomiale e il peso delle eredità matrilineari, offrendo una riflessione sulla resilienza e sull’identità.
Il libro ruota attorno alla figura di Venera, bisnonna dell’autrice, internata nel 1928 nel manicomio Mandalari di Messina con una diagnosi di “psicosi istero-nevrastenica” . Dopo la nascita della figlia, la narratrice (alter ego di Terranova) sente l’urgenza di ricostruire la storia di Venera, temendo che la follia ereditaria possa minacciare il suo ruolo di madre. Il viaggio la porta a scavare negli archivi di Messina, a confrontarsi con la “Mitologia Familiare” – un corpus di racconti tramandati, spesso edulcorati o distorti – e a sfidare silenzi e menzogne secolari .
Il corpo materno
La struttura alterna passato e presente, con capitoli che mescolano documenti storici, riflessioni metanarrative e frammenti onirici, creando un mosaico in cui verità e finzione si confondono.
La maternità è descritta come un’esperienza totalizzante, carica di responsabilità e paure. La frase iniziale – «capisco cosa non potrò mai più permettermi di fare. Impazzire»– sintetizza il conflitto tra l’amore per la figlia e il terrore di ripetere il destino di Venera. Nadia Terranova esplora il corpo materno come luogo di trasformazione e vulnerabilità, sfidando tabù sociali sulla “madre perfetta” .
Spezzare l’incantesimo
La storia di Venera diventa un simbolo delle donne rinchiuse nei manicomi per condizioni come depressione post-partum o “isteria”, trattate con terapie invasive (elettroshock, insulinoterapia). Il romanzo denuncia la violenza di un sistema patriarcale che medicalizzava il dolore femminile, ma celebra anche la resistenza silenziosa di chi, come Venera, sopravviveva all’oblio.
La “Mitologia Familiare” è un concetto chiave: storie tramandate oralmente, spesso mitizzate, che plasmano l’identità. Terranova smaschera queste narrazioni, rivelando come nascondano traumi non elaborati. La scrittura diventa uno strumento per “spezzare l’incantesimo” del passato e liberare il presente.
Se la solitudine accomuna le donne della famiglia – dalle pazze rinchiuse alle madri esauste – è anche attraverso la sorellanza che trovano forza. Figure come la nonna “santa laica” o la figlia “piccola fata” incarnano una resilienza collettiva.
Il caos della memoria
Terranova conferma la sua maestria con una prosa poetica ma concreta, ricca di metafore (il corpo di Venera come “macchia sullo zigomo”) e riferimenti letterari (da Virginia Woolf a Pirandello). L’uso di un linguaggio “magico” trasforma la scrittura in un atto terapeutico, un incantesimo che unisce generazioni. La struttura non lineare, con salti temporali e digressioni, riflette il caos della memoria e la complessità della ricerca identitaria.
Quello che so di te (256 pagine, 19 euro), pubblicato dall’editore Guanda, è un libro necessario, che unisce l’intimità di un diario alla forza di un’inchiesta storica. Nadia Terranova non offre risposte facili, ma invita a confrontarsi con le proprie radici, accettando che «la verità non è una sola»: consigliato a chi cerca storie che scavano nell’anima e nella storia collettiva. Perfetto per chi ama i romanzi familiari multigenerazionali, le narrazioni femministe e le esplorazioni letterarie della psiche umana.
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