Il graphic novel di Matteo Matteucci, “Arpad Weisz e il Littoriale”, racconta la tragica parabola dell’allenatore del Bologna negli anni Trenta, ebreo ungherese costretto a riparare in Olanda, dopo la promulgazione delle leggi razziali in Italia. Una scelta che non evitò a lui e alla sua famiglia una tragica fine ad Auschwitz. Un libro che ha forza, talento, gusto del dettaglio e abbina i disegni ad accurate didascalie, comprese certe digressioni storico-politiche…
Un gentiluomo dal fisico asciutto torna a casa dallo stadio, dopo una partita, Bologna-Milan, ripensa alla sfida, agli schemi, ai movimenti, specie della squadra emiliana, che lui allena. Siamo a Bologna, il presidente del club, uno dei più forti di quegli anni, è Renato Dall’Ara, a cui fu poi intitolato lo stadio, e quell’uomo, schivo e concentrato sul proprio lavoro, che ripensa a quel che è stato poco prima sul rettangolo verde è Arpad Weisz, allenatore ungherese fra i maggiori del suo tempo. Uomo soddisfatto, sereno, a suo agio tra i portici della cittadina, che si adombra soltanto quando vede una statua equestre di Benito Mussolini, colui che nel 1926 aveva inaugurato lo stadio bolognese, battezzato Littoriale; nello stesso giorno un giovanissimo anarchico che aveva attentato alla vita di Mussolini sarebbe stato trucidato dai fascisti, con una serie di coltellate.
Arpad è un teorico del calcio, uno che ama discutere dell’Arte del Pallone con gli amici giornalisti e con gli osservatori stranieri che spesso giungono da queste parti. Parla un ottimo italiano.
Matteo Matteucci inizia a presentare così un tecnico moderno e visionario, che fece la storia del football in Italia (fu il primo allenatore a vincere lo scudetto con due squadre diverse, Ambrosiana e Inter) e non solo, e diventò suo malgrado un simbolo della Shoah nel calcio italiano.
L’aria irrespirabile
Quello di Matteo Matteucci non è il primo volume dedicato al carismatico Arpad Weisz, ungherese di famiglia ebraica, ma è un graphic novel affascinante, dalle bellissime illustrazioni, che possono leggere lettori di ogni età, a cominciare dai ragazzi. Si intitola Arpad Weisz e il Littoriale (213 pagine, 16,90 euro), ed è pubblicato da Minerva edizioni. Dal presente del 1938 la scena spesso torna indietro nel passato con alcuni flash-back, alla pubblicazione del suo manuale Il giuoco del calcio (adesso nel catalogo Minerva), alla fine della carriera calcistica del magiaro, per infortunio, ai primi passi da allenatore d’avanguardia, alla scoperta di Fulvio Bernardini, sorta di “erede” che decenni dopo avrebbe vinto l’ultimo scudetto del Bologna. Quando sbarcò nella città delle Due Torri, Weisz arrivò con la moglie Elena e due figli piccoli Roberto e Clara. Proprio nel 1938 l’aria attorno iniziò a diventare irrespirabile e il tecnico cominciò a «sentirsi oppresso, lentamente soffocato». Per effetto delle leggi razziali matura l’addio senza clamore di quello che fino a poco tempo prima era un idolo…
L’ispirazione
La vita porterà la famiglia Weisz prima a Parigi, poi in Olanda, dove il tecnico troverà un nuovo lavoro, un’altra panchina, magari non degna dei suoi titoli e della sua maestria da scuola danubiana, ma comunque un modo per ricominciare. Per un paio di tavola Matteo Matteucci prova a immaginare anche una vita impossibile, un futuro diverso da quel che sarà per l’allenatore, la moglie e i figlioli. Ma è solo un’illusione. La loro vita, il loro viaggio avrà solo una destinazione, Auschwitz. Una ricostruzione che, spiega lo stesso autore nella postfazione, è debitrice del libro di Matteo Marani, Dallo scudetto ad Auschwitz (Diarkos), il primo a ricomporre la storia di Weisz, cancellato dall’orizzonte calcistico e non solo. Il graphic novel di Matteucci ha forza, talento, gusto del dettaglio e abbina i disegni ad accurate didascalie, comprese certe digressioni storico-politiche. Uno di quei libri che è necessario conoscere.
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