Generazioni di gerosolimitane, la saga di Shifra Horn

In “Figlie di Gerusalemme” di Shifra Horn una scrittrice, prossima alla maternità, si isola per immergersi nelle memorie di famiglia e raccontarle. Una storia al femminile e una città perennemente in conflitto…

La scrittura è uno strumento terapeutico, aiuta a scoprirsi, a conoscersi e a strutturare una propria identità. È un modo per elaborare lutti, affrontare dolori e conservare la memoria. Può chiarire il passato e risolvere il presente. È memento per non ripetere gli stessi errori nel futuro. Per questo Alexandra si è rifugiata in “una stanza tutta per sé”, di fronte alle colline di Gerusalemme, per immergersi nei ricordi, raccontare di sé e della sua famiglia. Per prepararsi ad affrontare una maternità per la quale non si sente all’altezza, libera dallo spettro di vecchi e dolorosi fantasmi.

I racconti della nonna

Alcuni fatti le appartengono, li ha vissuti, altri sono immaginati; la maggior parte li ha ricostruiti attraverso i racconti della nonna Edwarda, la sua “Sherazade nonnesca”, custode di una memoria familiare trasmessa a episodi interrotti sul più bello, intenzionalmente, per creare suspence e guadagnarsi, ogni sabato, la visita della nipote. Shoshana, Victoria, Edwarda, Abigail, sono le “Figlie di Gerusalemme” dell’omonimo romanzo (480 pagine, 20 euro) di Shifra Horn per Fazi (traduzione di Silvia Pin), quattro generazioni di donne che hanno attraversato la storia, dalla caduta dell’Impero Ottomano, al mandato britannico della Palestina, passando per la Londra vittoriana. Hanno vissuto la prima guerra mondiale e i pogrom in Russia, sopravvissute all’epidemia di colera, hanno superato cambiamenti politici e culturali.

Gli uomini? Comete

Un intreccio di misteri e leggende familiari in cui “gli uomini sono come comete”, appaiono, gli girano intorno, le abbagliano e poi si spengono, lasciandole al buio. Alcuni tornano, dopo molti anni, quando quasi non se ne ricordano più e ormai non ne hanno più bisogno. Centro gravitazionale e protagonista, fa da sfondo la città di Gerusalemme, in perenne conflitto, “vedova affamata, città più volte violentata dai suoi conquistatori”.

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