Amal Oursana, immigrati dall’anima scissa tra origini e presente

Romanzo di formazione spirituale ancor prima che familiare, “Il segreto nel nome” di Amal Oursana racconta la vita dei nuovi italiani, attraverso la storia, lunga oltre mezzo secolo, di una famiglia marocchina. Ispirata da ricordi familiari, l’autrice evoca sradicamento e assimilazione, finendo per mostrare un profondo percorso introspettivo e spirituale…

Franco-italo-marocchina, medico, con un evidente talento nella scrittura, che ha trovato compimento in un debutto narrativo affascinante. Amal Oursana aumenta il peso specifico di chi racconta la vita degli immigrati in Italia e dei loro discendenti, dei nuovi italiani, a cui è espressamente dedicato. Il pensiero non può non andare subito a Tangerinn (ne abbiamo scritto qui), bel romanzo di Emanuela Anechoum (qui una sua videointervista al nostro canale YouTube) che proprio all’inizio del 2024 è arrivato in libreria, ottenendo un certo riscontro e finendo anche tra i titoli finalisti del premio Bancarella. Sono romanzi accomunati dalle radici marocchine e da una mole di tumultuosi sentimenti. Quello di Amal Oursana – che vive in Toscana – ha trovato collocazione nel catalogo di Capovolte, una sigla editoriale combattiva che pubblica pochi, ottimi, titoli ogni anno, e che dà senso al concetto di ricerca editoriale.

Un solo cognome, speciale

Ne Il segreto nel nome (277 pagine, 16 euro) – questo il titolo del libro di Amal Oursana, ispirata alle proprie vicende familiari – si racconta come non sia semplice crescere e vivere in bilico fra più mondi, altrettante culture, e come sia importante mettersi a caccia del passato, riscoprirlo, valorizzarlo, senza fare a meno del presente, delle sue possibilità e delle sue conquiste: le identità multiple e molteplici come abbondanza e ricchezza, mai scordarlo, specie in questi tempi bui. Tanti decenni, da metà Novecento al presente, della storia di una famiglia marocchina sono affrontati senza fronzoli, senza enfasi e ridondanze, ma con uno sguardo poetico ed essenziale, fotografando la quotidianità, l’intimità, dialoghi, usanze, difficoltà, dubbi, speranze. È la storia di un cerchio che si chiude dopo tanto tempo, a partire dall’estate 1950, quando una donna, Hadda, partorisce un bimbo Rahhal (letteralmente “viandante, viaggiatore”), nomen omen, e il padre Al Kabir gli impone come cognome Ibn-Mashish, come un grande maestro religioso marocchino: è la conseguenza di un provvedimento del governo francese in Marocco, che aboliva la lunga sfilza di tanti cognomi patrilineari. Quel bambino – nato a Khouribga, «capitale mondiale dei fosfati» – crescerà raggiungerà prima la Francia e, infine, nel 1989, l’Italia, Modena. E lì, con la moglie Fatna, il figlio Tarik, e le figlie Assìa (dietro cui dovrebbe celarsi, appena camuffata, la stessa autrice) e Iman ricominciano una nuova vita, sradicati e assimilati, provati psicologicamente, ma anche propositivi, in un percorso umano e spirituale molto interessante.

I fratelli Ibn-Mashish sanno di non essere ben amalgamati con la cultura italiana, che non conoscono bene, ma non si identificano nemmeno con i loro “compatrioti”. Sono stati stimolati a parlare l’arabo, a mantenere vivo il francese, e a interessarsi della cultura italiana (studiando inglese). Fortunati ad aver acquisito più lingue, si sentono diversi da tutti, in qualche modo soli, come mosche bianche. A ogni modo bisogna cercare di essere se stessi e capire chi si è veramente al di là delle identità appiccicate dall’esterno.

Genealogia da ripercorrere

Sarà proprio Assìa, inquieta ed inventiva, a tornare alle origini per comprendere chi è, da dove viene, per capire un bisogno di spiritualità che sembra aver proprio il suo principio nella genesi del padre, nella connessione con gli avi, in una genealogia da ripercorrere, vivere, rinnovare. Il percorso umano e interiore della figlia del protagonista sfocerà nell’abbraccio al sufismo, la disciplina islamica di perfezionamento spirituale. Amal Oursana, italiana adottiva anche se ancora di passaporto francese, è un nome nuove che bisognerà tenere d’occhio. La sua lezione di introspezione e raccoglimento, che finisce per essere il suo romanzo, non va perduta…

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