L’arte di Silvio Perrella, gli amanti tra viaggi e paesaggi

Volume inclassificabile, di pagine incantate al seguito di due amanti di goethiana memoria, “Ore incerte” di Silvio Perrella indaga l’incertezza della vita, il caos del presente, il tempo mutevole, attraverso le peregrinazioni del narratore e dei protagonisti. A confronto con luoghi davvero vissuti o trasfigurati attraverso la letteratura. Pagine che catturano attimi ed eternità, superano confini, danzando…

Critico letterario, ma anche narratore. Ormai napoletano, ma anche palermitano, di nascita. «Ha all’attivo una decina di libri di difficile classificazione», si legge in qualche nota biografica e pure l’ultimo suo volume arrivato in libreria è in linea con i precedenti, di difficile collocazione, ma di felice compimento, riuscito, speciale. La sua prolifica e regolare produzione, così, s’arricchisce. Stavolta Silvio Perrella, classe 1959, ha scritto un testo di viaggi e paesaggi, un quadrato bianco con una barchetta a vela in copertina, opera di Odilon Redon (altri tredici suoi quadri puntellano tutto il libro), e il titolo in rosso, Ore incerte (301 pagine, 20 euro), pubblicato da Il Saggiatore. Pagine incantate, di prosa, poesia e immagine, che indagano il caos del presente e il tempo che «si fa ora incerta e cercante; mutevole, spaesante, argomento senza tema, slancio e rincantucciamento».

Quel che conta è l’amore, lo sai?

Entra pure, lettore…

Invita in modo complice, dall’incipit alla Calvino, Silvio Perrella – giovane interlocutore di alcuni grandi del Novecento, da La Capria a Sciascia, da Ortese a Consolo – scrivendo dell’incertezza della vita, di luoghi, di viaggi, anche interiori, anche della mente, oltre che fisici, «un’altalena tra Oriente ed Occidente», dalla Sicilia alla Turchia, da Venezia a Berlino, da Salgareda, borgo sul Piave caro a Parise, al Brasile, dall’Ucraina di Bruno Schulz a Napoli, da Stoccolma a Casablanca, da New York a Procida, alla Tipasa di Albert Camus (qui un articolo sul libro Nozze del Nobel 1957). I luoghi toccati sono le tappe del movimento perpetuo di due amanti originari di Baghdad, Hatem e Suleika, personaggi di carta (il riferimento è a Goethe e al suo Divano occidentale orientale) che in qualche modo prendono vita nella testa del narratore alle prese con visioni. E che indicano la strada: «Perché quel che conta è l’amore, lo sai?». Inevitabilmente, tornano spunti, immagini, riferimenti, propri del mondo culturale di Silvio Perrella, che pesca e colloca adeguatamente nel testo Pessoa e Mansfield; e che, ad esempio, torna a occuparsi di… ponti (ne aveva scritto in modo mirabile in un libretto per Italo Svevo, Da qui a lì), il contrario dei muri, unione di mondi e sentimenti, con un notevole carico di suggestioni personali, che vanno al di là del corpo a corpo con Odilon Redon. Corpo a corpo fra artisti a tutto tondo.

Cinquanta racconti raminghi

Una storia propriamente e cronologicamente detta non va cercata in Ore incerte. Ci sono sentimenti nomadi, c’è tanta poesia, implicita e non, c’è letteratura che trabocca in questo giro del mondo che tocca anche luoghi in cui Silvio Perrella non è mai stato fisicamente, ma che sono incarnati nel suo cuore, per via dei libri letti, degli scrittori frequentati. Intreccia tempi e luoghi in un atlante di spazi trasfigurati, fotografa punti di vista, cattura attimi ed eternità, supera confini, danzando, l’autore. Leggere Ore incerte significa affidarsi, di approdo in approdo, a una voce instancabile, a una serie d’inseguimenti, perplessità e tentennamenti, errori e felicità. Cinquanta racconti raminghi che, assieme, non hanno una forma definita che, proprio per questo, colpiscono nel segno, in modo straordinario.

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