Area 22. Luca De Angelis e il ghetto come carcere e nido

L’ambivalenza del ghetto – fisico e spirituale – per il popolo ebraico e in particolare per i suoi scrittori, da Svevo a Kafka, a Bassani. La analizza ed esplicita ne “Il sentimento del ghetto” lo studioso Luca De Angelis, che fa riferimento a una enorme mole bibliografica e che coglie tracce e riferimenti nelle opere di geni della letteratura che, erroneamente, parte della critica ha tentato di normalizzare, di spogliare dei loro elementi ebraici. Nuovo appuntamento con Area 22, la nostra rubrica dedicata alla letteratura e alla cultura ebraica (qui tutte le puntate)

Giorgio Bassani, Franz Kafka e Italo Svevo sono i nomi più citati nel bellissimo saggio Il sentimento del ghetto (195 pagine, 21 euro), il più recente libro di un valentissimo studioso, Luca De Angelis, dopo L’ uomo pensa, Dio ride. Declinazioni dell’umorismo ebraico (ne abbiamo scritto qui), pubblicato come l’ultimo dall’editore Marietti 1820. Bassani, Kafka, Svevo, siamo nell’empireo della letteratura, basterebbero questi nomi per precipitarsi a leggere queste pagine – figlie di una fitta bibliografia – in cui si ragiona attorno alla storia e alla “filosofia” dei ghetti ebraici, al loro sentimento, che è parte del mistero dell’ebraismo e del destino ebraico, al loro ruolo nella «sopravvivenza del giudaismo», nella «conservazione del sentimento identitario». Pagine in cui si sottolinea anche come molti scrittori ebrei, per la paura di non integrarsi, «si applicarono a dissimulare ogni tratto distintivo denotante l’ebraicità e ogni scrittore ebreo, chi più chi meno, è discreto nei riguardi della personale condizione ebraica»: dal «fuorviante anebraismo di Svevo» – che per esempio cancella tracce evidenti in Senilità – al «nodo problematico in molta e grande letteratura di ebrei contemporanei».

Da Zeno a Micòl

Analizzando la letteratura ebraica del diciannovesimo e ventesimo secolo, Luca De Angelis concentra la propria attenzione – a partire da dati storici, ma anche da riferimenti letterari, a cominciare da una favoletta presenta anche ne La coscienza di Zeno – sul ghetto come recinto reale e paesaggio interiore, richiamo all’interiorità, microcosmo fisico e spirituale, sottolineandone sovente l’ambivalenza di territorio sospeso, che assomiglia a una gabbia, a una trappola, ma anche a un rifugio di dignità e solidarietà, spazio paradossale «di separazione coatta, una sorta di prigione, ma d’altro canto anche luogo di intima e di raccolta libertà». I riferimenti sono innumerevoli, dal londinese Israel Zangwill agli spazi soffocanti di vari racconti di Kafka, a Bassani, col suo «linguaggio dell’intimità, il lessico gergale» e la sua prigioniera libera Micòl che nel «giardino recintato, incantato e paradisiaco», giardino poetico e utopico, cittadella interiore e spirituale, «si sentiva al riparo da ogni minaccia e non sentiva alcun bisogno di lasciarlo», dal ghetto come «metafora ossessiva» negli ambienti chiusi delle opere teatrali di Harold Pinter al sentimento di asilo coltivato anche da Umberto Saba («nipote del ghetto», Magris dixit), alla familiarità »con il mondo ostjudisch» di Svevo, ignorata «dal mainstream della critica sveviana». Eppure, proprio i personaggi di Svevo, anche di opere minori (come Una burla riuscita), incapaci e a disagio, sono come ebrei alle prese con una difficile assimilazione nel mondo; o autoironici, su tutti Zeno (anche in conflitto col padre, altro motivo ebraico), campioni impliciti di umorismo ebraico.

La dimensione ebraica annacquata

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Svevo, ma anche Kafka e Bassani sono stati in qualche modo “normalizzati”, privati della loro dimensione ebraica, che è stata annacquata, sottovalutata, poco valorizzata da una buona porzione di critici, anche di valore. Luca De Angelis restituisce loro questo “abito”: splendido, scrupoloso e circostanziato, a chiosa de Il sentimento del ghetto, quello cucito addosso a Bassani, al suo Il giardino dei Finzi-Contini e a tutto Il romanzo di Ferrara. Un modo per ribadire che c’è tanta grande letteratura in giro, ed è letteratura ebraica, con cui fare i conti, da ammirare, da studiare, da tenere nel cuore.

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