“Codice Canalini” di Giulio Milani è un tributo sincero e affascinante a Massimo Canalini, tra i più rivoluzionari editor ed editori italiani, da parte di uno dei suoi principali collaboratori. Dalla periferia si prese il centro della scena, Canalini, lanciando scrittori giovani, non solo anagraficamente, tra vittorie, sconfitte, idee in aria, progetti audaci, monumenti da demolire. Un’esistenza irregolare e frenetica, segnata dal sodalizio professionale con Pier Vittorio Tondelli, “mistero” che Canalini, recentemente scomparso, cercò di indagare fino all’ultimo
Via Piave 32, ad Ancona, era il luogo per eccellenza dell’immarcabile, ingestibile e scomodo rabdomante della letteratura, Massimo Canalini, che se ne è andato, dopo lunga malattia, poco prima che irrompesse lo scorso autunno, in concomitanza con la pubblicazione di Due di Enrico Brizzi (ne abbiamo scritto qui), sequel del fenomeno editoriale Jack Frusciante è uscito dal gruppo che proprio l’editore ed editor marchigiano aveva contribuito a creare, a metà anni Novanta, in un altro mondo, editoriale e non solo. È morto solo, o quasi, Massimo Canalini, corsaro nei mari tempestosi dell’editoria, abbandonato da disertori e voltagabbana. Solo il fratello minore e una storica collega, dei tanti uomini e donne che con lui hanno lavorato e vissuto, l’hanno accompagnato davvero fino in fondo, alla fine di un percorso frastagliato ed esaltante, puntellato da alcune certezze, gli studi irregolari di filosofia, la passione per la cultura pop, per Arbasino, per Joyce Lussu, per Salinger e per il minimalismo americano, per il lancio di giovani scrittori, non solo all’anagrafe. E, specie nella parte finale della vita, l’ossessione perpetua di indagare fino in fondo anima e viscere di Pier Vittorio Tondelli, la sua vita quotidiana e sentimentale, per comprendere il suo enigma, capire davvero chi fosse e cosa avesse voluto dire con quel che aveva scritto, lo scrittore di Correggio, che aveva collaborato con Transeuropa – la casa editrice per eccellenza di Massimo Canalini – dando una mano alla sua affermazione in ambito nazionale.
L’editor invasivo e il suo discepolo
Animale notturno, editor invasivo (ammiratore delle writers’ room americane, della letteratura «in cui la qualità nasce dalla collaborazione, non dalla solitudine dell’autore»), anticipatore visionario, folle, sapiente, manipolatore e artigiano (a cominciare dalla fattura delle copertine), è stato immortalato da uno dei suoi discepoli prediletti, Giulio Milani, da tempo alla guida di Transeuropa, ispirato dallo stesso spirito del padre nobile ormai scomparso. Anzi, che si confronta con lui – maestro amato da tanti, e da tanti abbandonato e ripudiato – da pari a pari, in una sfida senza tempo.
E io? Continuavo la mia folle corsa nel tentativo di raggiungerlo, eguagliarlo, superarlo un giorno. Dovevo dimostrare al mondo che non ero solo il fortunato erede di un marchio, ma un fondatore di regni a mia volta.
I risultati raggiunti sono nel nuovo corso di Transeuropa, magari meno mediatico ma non privo di scoperte, Fabio Genovesi, Giuseppe Catozzella, Demetrio Paolin, Andrea Tarabbia.
Nessun metodo
Ma se pensate che Canalini fosse semplicemente un editore, vi sbagliate. Era più simile a un domatore di bestie letterarie, che sapeva sfidare le convenzioni, buttando tutti giù dal palco, per farli brillare con nuove idee.
Non è certo un bignami, Codice Canalini (304 pagine, 25 euro), uscito naturalmente per i tipi di Transeuropa, ma Giulio Milani l’ha scritto con generosità e non certo per difetto, ma per eccesso. L’ha scritto col suo sguardo e, dunque, potrebbe non sembrare, anzi certamente non è un racconto obiettivo, probabilmente tralascia o esclude parole o eventi che per altri sono fondamentali. Ma tant’è. È il suo racconto, spericolato, alternativo, sotterraneo, di un uomo di grandi vittorie, pessime sconfitte, idee sospese in aria, progetti audaci, monumenti da demolire: «con quel suo sguardo provocatorio, guardava il mondo editoriale dall’alto, consapevole di essere l’uomo che aveva scardinato le regole del gioco» Contro l’establishment letterario, sistema da prendere a spallate, ma in soccorso a un comparto editoriale avvitato su se stesso, che aveva bisogno di nuove idee e, magari non di un metodo, ma di un codice. Il codice Canalini non brillava per efficienza, rapidità, continuità, viveva di fiammate e di lentezze, come lo stesso Giulio Milani spiega bene.
… Massimo lavorava con una marea di autori, spesso assieme, mescolando le energie in un vortice collettivo che fatalmente risultava più dispersivo che produttivo. Tra una cena e un pranzo, si parlava di letteratura e cultura, sì, ma alla fine non si metteva mano al testo. Era un continuo dissiparsi di tempo e di energie, con Massimo sempre impegnato a dividere la sua attenzione tra mille impegni e mille promesse da mantenere. La sua idea di editing, però, era quella: dilatare il tempo e il processo, tanto che per editare dieci pagine ci voleva un mese intero. Tra discussioni, divagazioni e incaponimenti, tutto rallentava, e per un giovane che voleva tutto e subito, era una condanna.
Imporre le mode, non solo con i giovani
Una cosa che emerge abbastanza chiaramente è che la fucina di Transeuropa era più trasversale e complessa di quello che la vulgata ha lasciato intendere nei decenni. E basterebbe dare uno sguardo ai titoli – minuziosamente riportati in appendice al volume di Giulio Milani – per vedere come oltre al talento di Enrico Brizzi e della formidabile Silvia Ballestra, Massimo Canalini avesse sparigliato qualsiasi gioco, coltivando, intercettando o solo sfiorando autori molto diversi fra loro, talvolta ottimi, spesso bravi, con parabole fra le più diverse, dal successo, anche non immediato, all’oblio, Luigi Di Ruscio e Andrea Canobbio, Claudio Piersanti e Gilberto Severini, Carlo D’Amicis e Piersandro Pallavicini, Angelo Ferracuti e Guido Conti, Giuseppe Culicchia e Pino Cacucci. Il suo lavoro e quella stagione attirarono, a vario titolo, l’interesse della casa editrice Einaudi (che gli propose invano di partecipare al varo di Stile Libero), di Federico Fellini, di Ferruccio Parazzoli che, alla guida di Mondadori, collaborò con Canalini, e il disinteresse quando non l’invidia di tanti altri. Le ragioni del successo e dell’insuccesso? «Era coerente – scrive Milani – con un’idea di editoria che non cedeva al mercato, che non si piegava alle mode, ma se mai le imponeva».
Il fantasma Tondelli e i suoi fantasmi
Nella storia dell’eccentrico Massimo Canalini, minuziosamente ricostruita, raccontata anche in modo scanzonato, a furia di aneddoti, si attraversano parecchie sigle editoriali dalle alterne fortune, ma coi conti sostanzialmente e a lungo in rosso: Il Lavoro editoriale, Transeuropa, Pequod, la collaborazione con Theoria (ma quando la casa editrice capitolina aveva iniziato la parabola discendente) e le esperienze e le collaborazioni degli ultimi anni, Cattedrale e Affinità Elettive. E una figura si staglia su tutte le altre, quella del sodale Pier Vittorio Tondelli, vicinissimo a Canalini dopo qualche perplessità. Il loro incontro fu un toccasana per le lettere nostrane, con tre antologie di debuttanti (e manoscritti provenienti da tutta Italia) che fecero epoca, fra il 1986 e il 1990, imponendosi dalla periferia, dalla provincia, al centro della scena: Giovani blues, Belli e perversi e Papergang. Gioventù cannibale sarebbe arrivata molto dopo.
… Tondelli non pensava a questa roba come a un business, non voleva creare un progetto fordista. A lui non interessava fare dei giovani esordienti un brand da sfruttare. Tondelli voleva mappare la generazione che lo precedeva, capire cosa li rendeva simili e diversi dai ragazzi degli anni Settanta. Voleva aprire un dibattito nuovo, che non fosse quello preconfezionato dai media. Il suo scopo non era vendere generazioni, ma studiarle, dargli una voce.
Forse inconsapevolmente Massimo Canalini non riuscì mai a metabolizzare la morte di Tondelli, sopraggiunta nel 1991: si caricò il peso di continuare a essere un punto di riferimento, da talent-scout, editore, editor, agente letterario, agitatore culturale, e non smise di indagare il mistero di Tondelli, la sua dimensione religiosa, i tanti “buchi” e incongruenze della biografia, i significati nascosti fra le righe dei suoi romanzi, accostati ad autofiction in anticipo sui tempi. Nacque così un progetto su Pier Vittorio Tondelli, una collana, Tondelliana, un’indagine ad ampio raggio, che comprendeva l’ormai introvabile libro Federica in Cina (la ricostruzione di un’affettuosa amicizia, forse qualcosa di più, del futuro scrittore con una compagna di scuola, Federica Gazzotti), e tanti altri piccoli e grandi contributi, ottenuti anche grazie ad amici intimi e di vecchia data dello scrittore emiliano, non «solo un’icona letteraria; era una figura di culto per chiunque lo avesse conosciuto», sebbene con lati oscuri da outsider conclamato: «Molti parlavano di una solitudine sottile, di un’ombra che seguiva Pier ovunque».
Sipario fallimentare e tempestoso
Quel turbinoso inseguimento del fantasma e dei fantasmi di Tondelli, è da molti ignorato, da tanti altri bollato come una spericolata operazione commerciale, attaccato per quella che in tanti considerano una tesi audace – cioè quella di un Tondelli, più che omosessuale, fluido se non eterosessuale – quando non strampalata in certe declinazioni estreme: che lo scrittore volesse cioè immolarsi, vittima sacrificale, capro espiatorio, come da lezione di René Girard.
… Tondelli si sarebbe immerso nel mondo gay fino alla prova finale, il sacrificio di se stesso, a imitazione di Cristo, dichiarando al mondo una morte per Aids al solo scopo di proteggere, col suo statuto di scrittore famoso, le molte esistenze più incerte e bistrattate della sua.
L’operazione si rivelò fallimentare, letale per le casse della casa editrice e anche per il rapporto fra Canalini e Giulio Milani. Un sipario tempestoso, ma in linea con gli anni precedenti e con quelli successivi. Per astio, per troppo amore, per pudore o scarsa conoscenza, delle ultime avventure editoriali, degli ultimi anni, della malattia, quasi si tace in Codice Canalini, tributo a cui non difettano sincerità e fascino. Al netto di intuizioni, ubbie, cantonate, bizzarrie, avventure sgangherate, mitologie, ossessioni, la storia di Massimo Canalini appare lontanissima ed esemplare, inattuale e meritevole di una nostalgia che è tributo alla sua arte non di vincere ma di non arrendersi.
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