Dimenticate rumori e tecnologia associati al Giappone, leggendo “Il sentiero che porta alla casa del tè” di Véronique Brindeau lasciatevi trasportare in una dimensione che richiama calma e attenzione a ricorda il piacere del tempo dell’attesa…
In un paese industrializzato come il Giappone coesistono molte contraddizioni che ne alimentano il fascino, tra cui la capacità di mantenere vive quelle tradizioni che sono il cardine della loro cultura. Grazie a Il sentiero che porta alla casa del tè (96 pagine, 19,95 euro) di Véronique Brindeau, edito da Casadeilibri, scopriremo un Giappone primitivo, lontano dal caos della modernità cittadina, in cui le piante e i giardini sopravvivono alla dittatura del cemento.
Un tempo immobile
A volte per comprendere appieno l’intento di un autore è utile conoscere qualcosa della sua vita e della personalità. Nel caso di Véronique Brindeau sono illuminanti le parole che Lorenzo Casadei utilizza per descriverla nell’introduzione al libro:
Chi la conosce sa per contro quanto la facciano soffrire gli inutili rumori e il brusio del mondo contemporaneo, quella sistematica violenza alla quale gran parte dell’umanità sembra ormai assuefatta. Per chi invece insiste a non adeguarsi al peggio, al brutto e al lutto delle cose fatte ad arte, entrare nel mondo di Véronique Brindeau sarà una vera panacea.
Ed effettivamente Il sentiero che porta alla casa del tè è proprio questo: un percorso reso sensoriale da una scrittura calda e immersiva e da immagini splendidamente caratteristiche che accompagnano il lettore alla scoperta di un mondo, quello giapponese, tanto distante da noi quanto universale è a volte la necessità di ricongiungersi con una realtà lenta, con una natura fatta di quiete e rituali.
Un’esigenza, forse, per chi scrive di far sapere a chi legge che esiste ancora un angolo di mondo che sembra non aver subito lo scorrere del tempo.
Il percorso
Entreremo in un giardino del tè guidati dalle descrizioni e dalle immagini che raccontano la cerimoniosità e l’importanza di fattori apparentemente casuali ma in realtà volutamente selezionati: la vegetazione bassa, l’irregolarità delle pietre posate a terra ad indicare la strada, una panca per l’attesa, le lanterne di pietra, un bacino per la purificazione di mani e bocca, sono tutti elementi fortemente simbolici finalizzati a trasportare l’ospite in una dimensione che richiami la calma, l’attenzione a ciò che lo circonda e ricordi il piacere dato da un tempo che solitamente riteniamo vacuo, quello dell’attesa.
Capiremo la simbologia legata al bonsai, che prende ispirazione dalle radici degli alberi come sorta di collegamento tra cielo e terra. Arbusti in miniatura che ci ricordano quanto “la dimensione di ciò che è rappresentato conti meno della fine osservazione che deve governare ogni disegno”.(cit)
Scopriremo il giardino di Komatsu, che non è menzionato sulle mappe turistiche. Un luogo dimenticato non solo dall’uomo ma anche dallo scorrere del tempo, che ci accoglie nella sua immobilità, spezzata solo dal gioco di luci e ombre create dal vento.
Infine, seduti sul ciglio dell’Entsū -ji la nostra vista si perderà all’orizzonte regalandoci un paesaggio degno di un quadro in cui ogni elemento è sapientemente finalizzato a creare un equilibrio scenico che solo grazie alla natura può rivelarsi così genuino senza sembrare artificioso.
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