“Palafox” di Éric Chevillard è un romanzo di scoppiettante fantasia, originale, in cui l’omonimo protagonista, Palafox, è un animale che cambia aspetto, verso e pelle e fa vacillare qualsiasi certezza. Un virtuoso gioco di contraddizioni, forse, una riflessione sull’identità o, più probabilmente un perfido autoritratto dell’autore stesso e del suo modo di fare letteratura
La figura di Éric Chevillard è centrale nella idea di fondo di Prehistorica editore, che indaga principalmente la letteratura francese contemporanea, specie quella meno accomodante e senza lustrini, quella fuori dal coro, libera, sfidante. L’editore Gianmaria Finardi è prima di tutto un francesista e un traduttore, innamorato delle opere che sceglie, innamorato a tal punto da consacrare una delle quattro collane all’opera di Éric Chevillard, che aveva iniziato a tradurre per conto dell’editore Del Vecchio. Una proposta consapevole e critica, quella di Prehistorica: rendendo centrale Chevillard, autore feticcio (come Nothomb per Voland ed Ernaux per L’Orma) che inventa mondi con vari registri linguistici, ed è fuori da qualsiasi classificazione, senza padri e senza eredi, nonostante qualche “parentela” affibbiatagli nel corso degli anni.
Tra Voltaire, Balzac e Ovidio
La collana a lui dedicata riparte con Palafox (204 pagine, 17 euro), originale, surreale, eclettico romanzo in cui il protagonista, Palafox, è un animale cangiante e imprevedibile, tanto da cambiare aspetto, verso e pelle (a volte coperta da pelo, altre da squame, altre ancora da piume), e da fare vacillare qualsiasi certezza, sembrando di volta in volta pulcino, insetto, stella marina, elefante, rettile, pesce, ha le ali, le chele, le zampe, eccetera eccetera. Una fantasia scoppiettante, per un romanzo di lotta, nel senso che Palafox caccia ed è cacciato, sfoggia una violenza sfrenata e fa i conti con tentativi di addestramento, attraversa tempo e spazio, fra metafore, paradossi e facezie, parodie letterarie, e riflessioni su scienza e politica; per certi versi siamo in presenza di una satira alla Voltaire (non abbiamo resistito nemmeno noi ad azzardare un paragone…), con tanto di “campionamento” di citazioni da Balzac (lo svela lo stesso editore traduttore) e strizzatine d’occhio a Ovidio, ma Chevillard sa sempre come scrivere e dimostrarsi un mondo a parte. Allo sfuggente protagonista va aggiunto un pastiche linguistico di grande varietà (e qui salta all’occhio una traduzione di grande spessore), una punteggiatura virtuosa e fantasiosa, un plot molto difficile da riassumere e un “cast” di personaggi umani molto sfaccettati e ben caratterizzati, dal primo, un ambasciatore inglese in pensione, a quelli all’apparenza marginali.
Risata e assurdo
È un gioco? È un virtuosismo? È un campionario di contraddizioni? È un elogio dell’alterità? È una riflessione sull’identità umana o un perfido autoritratto dell’autore stesso e del suo modo di intendere la letteratura? Questa è l’ipotesi che potrebbe convincere di più. Certamente Palafox dell’estroso Éric Chevillard ingaggia deliberatamente un duello con il lettore, che viene “rassicurato” da frasi del genere.
…l’animale la cui taglia rasentava quella di una grossa vespa o di un piccolo ghepardo non era però né tigrato né maculato, per cui nessuna confusione possibile.
Nel corso del racconto (di formazione? fantastico?) incombe una guerra, ma non si comprende quale è; ci sono quattro maldestri scienziati che provano a classificare la creatura indefinibile e lo fanno sulla base del proprio background, senza però sciogliere l’enigma. Provano a studiarlo, a educarlo, cercano addirittura di organizzare una mostra, ma poi si rendono conto che è un’impresa impossibile. Con il suo camaleontico protagonista, il testo appare strano e affascinante, induce alla risata e conduce all’assurdo. La letteratura e la vita, però, questo non ci appaia assurdo, sono così: incostanti, mutevoli, imprevedibili, anche ludiche, senza per questo non essere profonde. E ci piacciono per questo.
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