Paura, ironia e incanto nei dispacci di Isaac Singer da Israele

“Viaggio in Israele” di Isaac Singer raccoglie i reportage giornalistici del futuro Nobel, scritti a metà anni Cinquanta. Ci sono squarci degni delle opere maggiori fra luoghi visitati, persone conosciute, lingue ascoltate, nemici temuti…

Non è uno dei suoi perduti mondi polacchi che racconta con la lente della nostalgia, non è la terra umiliata dalla disumanità, devastata dai bastardi nazisti senza gloria. E lui era già un narratore inarrivabile, scrittore incantatore, ingordo di storie e altrettanto generoso nell’irradiarle, ma non era ancora il genio laureato dal Nobel, alloro che sarebbe arrivato più di vent’anni dopo. Pur fuori dai suoi territori d’elezione – shtetl e corti rabbiniche dell’est Europa prima della seconda guerra mondiale, gli antri ebraici negli Stati Uniti nel periodo post-bellico – e ancora lontano dalla maturità, Isaac Bashevis Singer era capace di recapitare al mondo – scrivendo articoli per Forverts, quotidiano in lingua yiddish per gli ebrei di New York – dispacci straordinari, storie speciali, pensieri profondi, da una terra perduta, promessa, umiliata e offesa, che abitudinariamente viene chiamata ancora Terrasanta, ancora adesso che infuria l’ennesima guerra che starà arricchendo pochi, l’ennesima sconfitta degli uomini, con le solite vittime in prima fila, i più indifesi e i più deboli, con vigliacchi che da entrambe le parti hanno prosperato e prosperano.

Aria di famiglia

I pezzi giornalistici dell’inviato Isaac Singer, risalenti al 1955 e pubblicati da Giuntina con il titolo Viaggio in Israele (177 pagine, 18 euro), compaiono nel catalogo della casa editrice fiorentina a distanza di sei mesi dal racconto-gioiello Willy (ne abbiamo scritto qui), del fratello e maestro di Isaac Singer, suo fratello Israel Joshua. Una “riunione” familiare che è merito di Enrico Benella, prezioso traduttore dall’yiddish in entrambi i casi. Del volume di Isaac Singer colpiscono l’innocenza dello sguardo che cattura, oltre all’ombra della Shoah, conflitti e contraddizioni del giovane stato di Israele in cui «il nemico può arrivare da tutte le parti da nord, da sud, da est» e «c’è un solo problema e si tratta degli arabi». Frasi terribilmente fatidiche, se vogliamo, sebbene quel che sarebbe successo di lì a poco, e nei decenni successivi, abbia avuto ragioni molto più complesse, che bisognerebbe sempre guardare da tanti punti di vista. Inanella brani e talvolta mette da parte il disincanto, Isaac Singer, da ogni angolo di Israele, da un kibbutz a un campo profughi, da un quartiere ultraortodosso di Gerusalemme al monte Sion, con la «leggenda cristiana» di Gesù e della sua ultima cena, dove «si respira un passato diverso da quello che si respira in altri posti. Mi pare che qui il passato profumi di sala di studio, di Torà, di rotoli della Legge, di profeti. Qui sento gli stessi odori che sentivo da ragazzino nel cortile della sala di studio di Arn Sardiner a Varsavia e nel sottotetto della sinagoga di Biłgoraj. È un passato familiare, è come se il passato dei miei nonni si fosse tramutato in pietra».

Uomini e spiriti

Herzl non ha avuto la fortuna di vedere realizzato il suo sogno. Invece io, che non ho alzato un dito per costruire questo Stato, ci entro come un generoso parente acquisito.

Non rinuncia all’ironia e all’autoironia, come quando chiama in causa il padre del movimento sionista, Theodor Herzl. E nel giro di due mesi Isaac Singer visita il tribunale di Tel Aviv e la Knesset, ma è consumando suole per le strade e fra la gente comune che accende squarci degni delle sue opere maggiori, raccontando pieghe spicciole della quotidianità (il prezzo degli affitti, il costo del cibo, l’aspetto delle case, gli abiti, i mezzi di trasporto) e grandi verità. Lo colpiscono gli uomini in carne e ossa, osservanti ed eretici, ma non dimentica gli esseri soprannaturali, che abbondano anche nelle sue opere di narrativa, ed evoca lui stesso, per esempio, in un albergo della cittadina di Safed:

In una notte così è possibile che qualcosa prenda vita. Forse un angelo apparirà anche a me e mi spiegherà qual è la via dell’ebraismo? Questa città è piena di spiriti. Tuttavia non sono fantasmi ma spiriti elevati che non si rivelano a chiunque.

Novità e radici

Intercetta la novità di Israele agli albori e le sue radici antichissime, la battaglia neanche tanto sotterranea fra chi vuol coltivare e far prosperare l’ebraico a dispetto dell’yiddish e di tante altre lingue, tantissime quelle parlate e comprese, soprattutto a Tel Aviv, «dove vengono pubblicati giornali in tedesco, in ungherese, in bulgaro e in romeno. Si parla lo yiddish? Da quando ho lasciato la Polonia non l’ho mai sentito parlare così tanto come a Tel Aviv». È un tassello non più mancante questo libro di cronache che sembrano un romanzo, caldo e avvolgente come il mare di Giaffa, chiassoso e colorato come un suq che sembra un mercato di Varsavia, radioso come il paesaggio della valle della Geenna: «Se la Geenna infernale fosse davvero così, peccare non sarebbe pericoloso».

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