L’elegia degli anni Settanta e Ottanta nel romanzo di Gianluca Mercadante, “Banda cittadina”. Attraverso il protagonista Filippo, prima ragazzo, poi uomo, l’autore omaggia il mondo delle radiofrequenze, fuori dai giochi un po’ come la fotografia analogica. Un mondo estinto che è la molla di una vivacissima vicenda tra l’Emilia e il Piemonte…
Questa è una storia che va letta alla giusta frequenza. Una storia per nostalgici, forse, ma anche una storia per ricordare, inquadrare il proprio passato, e imparare a lasciar andare: passioni, errori, miti che col tempo svaniscono. Banda cittadina (204 pagine, 15 euro) è il nuovo romanzo di Gianluca Mercadante uscito per Las Vegas: un inno agli anni Settanta e Ottanta delle libere frequenze sulle quali si divertivano a parlare e tessere reti i radioamatori. La banda è quella delle radiofrequenze, la citizen’s band inglese, conosciuta dai radioamatori italiani come, appunto, banda cittadina.
Sul tramonto della frequenza
Ci muoviamo tra Modena e Vercelli in questa storia che parte da un tramonto: quello che vede sfumare l’usanza delle radiofrequenze a favore dell’imperante e onnipresente rete cellulare e wifi, certo più rapida, pervasiva, ma priva di una storia e di radici che affondano in una passione grande. Come quella di Filippo, il protagonista, che ragazzino scopre la CB e, primato italiano per la giovane età, entra come radioamatore in un mondo fatto per lo più di camionisti, autisti e altri appassionati come lui. Ed è in un’officina che forse non a caso Filippo si ritrova da grande: un matrimonio fallito alle spalle, un figlio adolescente pressoché abbandonato, la cui urgenza lo punge alle spalle, e un’amica, Elena, che fa un mestiere “libero”.
A smuovere Filippo dalla sua palude e a riportarlo indietro dalla fuga modenese verso il suo mondo di provincia è un’improvvisa chiamata che rimette in moto la passione mai sopita per la banda cittadina. Il romanzo è un omaggio nostalgico a un sistema di comunicazione che, un po’ come la fotografia analogica, è ormai parte di uno sfondo storico che difficilmente tornerà ad avere contorni netti. Uno dei pregi di questa storia è quello di riportare le lancette indietro: a chi ha vissuto quell’epoca, sembrerà di ritornarci, con sensazioni, immagini e persino coloriture tipicamente “vintage”, a chi non l’ha vissuta, va l’invito ad allargare la propria visione delle cose.
Di avventure, antenne e decisioni da prendere
È quanto accade al figlio di Filippo. Perché, proprio come in ogni bella storia che funziona, la telefonata sarà l’innesco per un’avventura che rimetterà tutto in discussione. Così vecchie amicizie nate sulla radiofrequenza salteranno fuori dalla naftalina del tempo, con tutti i loro risvolti di vita vissuta, ma allo stesso tempo anche le relazioni dovranno fronteggiare tante novità, e Filippo si troverà a decidere delle proprie responsabilità come padre e come uomo. Il tutto, mentre va in scena una vera, appassionante e frenetica caccia all’antenna. Si chiama così il gioco “fuori tempo” a cui il protagonista si troverà a partecipare cercando l’entusiasmo che un tempo lo animava e ritrovandolo non solo nell’abilità artigianale nell’uso della banda cittadina con il suo “baracchino”, ma nel gioco collettivo che, come ogni gara, spinge alla vittoria.
Ma, la nostalgia insegna, il passato è passato, cercare di replicarlo in un oggi diverso e dai differenti contesti non renderà mai lo stesso entusiasmo e la stessa gioia di un tempo. Filippo, sotto sotto, tutto questo lo sa: ma è la passione antica che lo smuove dall’immobilità cui si è costretto, è lo sfrigolio della radiofrequenza a dargli la forza di rimettersi in moto. Sul filo della caccia all’antenna si dipana così una divertente ricerca che non ha solo a che fare con enigmi da risolvere e luoghi dove arrivare per primi, cabine telefoniche ormai estinte e nastri magnetici, ma con un legame genitore-figlio da salvare e recuperare, un amore che nasce senza dichiararsi, una passione da non colpevolizzare.
Tra gergo specialistico e parole che contano
Perdente, sì, ma con stile. Se il nostro Filippo ama etichettarsi come mancato vincitore a vita, nella bella tenuta di questo romanzo lo slancio e la gara sapranno insegnare qualcosa di universale. Ecco perché la lettura è piacevole: per la circolarità di una storia vivacissima che sfrutta un mondo ormai estinto come molla, e lo rianima in una provincia un po’ polverosa, dove tutti si conoscono e la modernità non si è ancora estesa come una coperta fitta.
È in questi sprazzi che si costruiscono e disfano i rapporti: nelle striature di colore, nelle differenze, dove ancora il consumismo che tutto fagocita e appanna non ha ancora steso la sua superficie livellante. Non sarà un caso che il protagonista ami leggere libri, e nemmeno che gestisca, come tutti i radioamatori d’antan, un gergo specialistico che risulta inarrivabile per i non addetti ai lavori. Ecco dunque che a corredo del romanzo c’è un ricco glossario che illustra le sigle e i termini collegati al mondo della banda cittadina. Una scusa godibile come una bella storia per recuperare un’eredità perduta fatta di sapienza, ricerca, studio, passione e parole, quelle chiacchierate alla radio, quelle che a volte sembra scontato dire oggi, supportati dai messaggi vocali sulle ali del wifi che tutto permea. Quelle che, non c’è tecnologia che tenga, sono sempre al centro di tutto.
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