Shirley Jackson, trionfo del sottinteso e dell’ipocrita apparenza

Tra pensieri oscuri e meschinità, all’ombra di conformismo e perbenismo, illuminati con sottile ironia: temi ricorrenti in Shirley Jackson, anche nel suo debutto “La strada oltre il muro”. Protagonista una comunità chiusa e giudicante, alle prese con l’abbattimento di un muro che simbolicamente separa della paura del diverso, inteso come minaccia e pericolo…

Benché La strada oltre il muro (219 pagine, 19 euro) sia il primo romanzo di Shirley Jackson, tutti i tratti peculiari che l’hanno resa nel tempo regina dell’horror domestico sono già riconoscibili.

Siamo nel 1936 in un quartiere residenziale alle porte di San Francisco. Protagonista è Pepper Street, strada abitata da una comunità chiusa e giudicante che si ritrova a dover affrontare un cambiamento epocale che potrebbe segnare la fine della loro intima sicurezza: l’abbattimento del muro che geograficamente demarca un limite territoriale, ma simbolicamente rappresenta la circoscrizione che argina i confini della paura del diverso, inteso come minaccia e pericolo.

Calma apparente…

I personaggi del romanzo – tradotto da Silvia Pareschi per Adelphi – sono molti, tutti membri delle famiglie che popolano il quartiere. Dopo aver preso le misure destreggiandoci tra i vari James, Jamie, John e Harriet, Hallie, Helen entriamo in confidenza con tutti e distinguiamo le varie personalità attraverso gli avvenimenti che si succedono.

Nessuno è mai descritto in modo esplicito, non c’è mai un giudizio o un tentativo di definire categoricamente una situazione o una persona. La narrazione è una cronaca secca e oggettiva della vita quotidiana di queste famiglie.

Come nella maggior parte delle sue opere, i due grandi cardini del racconto sono le donne e la casa. Ogni donna è tenacemente protesa verso lo sforzo di apparire perfetta e i tratti caratteriali sono descritti attraverso l’aspetto e la cura della casa con sillogismi dettagliati e altamente figurativi. Ogni famiglia è la casa che abita: una facciata di rituali conformisti.

Il loro status di appartenenza è legittimato dall’apparenza.

I bambini sono gli altri grandi protagonisti. Sono degli adulti in miniatura che spaventano per la freddezza dei loro pensieri e i cui giochi possono trasformarsi in succursali di ambiguità e spietatezza.

…orrore latente

La storia è il trionfo del sottinteso: la Jackson insinua il dubbio senza esplicitarne mai l’atto finale. Lascia tutto all’immaginazione del lettore.

Si è costantemente affacciati sulla soglia di ciò che potrebbe succedere, in equilibrio sul filo della tensione che non culmina ma è latente. Tutto è la descrizione minuziosa del preludio alla follia. Una misteriosa anticipazione fatta di dettagli, di quotidianità cerimoniale, di ipocrita apparenza.

Solo nelle ultimissime pagine accade realmente qualcosa, qualcosa di realmente tragico. Ma l’autrice lo espone come se lo reputasse di minore importanza, lo sviluppo naturale di ciò a cui ci ha preparato nel corso di tutto il libro. Presenta il fatto in modo freddo, crudo, senza inquietudine ma con l’urgenza di passare oltre e concludere la storia perché il suo scopo non è focalizzare lì l’attenzione. Quell’avvenimento è una conseguenza straordinaria, ciò che dovrebbe sconvolgerci veramente è il contesto in cui si è generato: ipocrisia, malignità, derisione, classismo, misoginia, tentativi di emarginazione. A questo è dedicato l’intero libro, all’orrore del quotidiano.

Di cosa vi meravigliate allora?

Una garanzia di protezione

Sempre sobria e bilanciata, Shirley Jackson penetra nei pensieri più oscuri dei suoi personaggi e con sottile ironia ne illumina la meschinità e le ipocrisie nascoste all’ombra del conformismo e del perbenismo che tendono ad escludere e bollare come diverso ciò che non è canonizzato dalle convenzioni sociali.

Sono questi temi cari all’autrice e che possiamo ritrovare nella maggior parte delle sue opere perché sono esperienza vissute anche da lei in prima persona nella sua vita.

Se il filo conduttore è la calma apparente generata da azioni ambigue, la svolta per lei è quasi sempre la follia. Perché la Jackson non vuole esorcizzare la paura ma alimentarla, sollevare interrogativi e mettere in luce come il vero orrore, quello più subdolo ma permanente, non risieda nello straordinario ma nell’ordine della vita quotidiana, e tutti possono esserne vittime.

Ma il muro? Ah già il muro. Almeno noi, guardiamo oltre il muro. Sono tutti preoccupati per il suo abbattimento e per la vulnerabilità che ne deriva da non accorgersi che la tragedia si consuma tra di loro proprio all’interno di quella apparente protezione.

Siamo così impegnati a proteggerci dall’esterno che non vediamo – o facciamo finta di non vedere – le nostre colpe più prossime.

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