Oltre il realismo, più o meno magico, interprete delle tendenze moderniste provenienti dall’Europa, l’ucraina naturalizzata brasiliana Clarice Lispector debuttò con “Vicino al cuore selvaggio”: storia di una vita, con personaggi che sembrano provenire dall’anfratto della psiche, in bilico tra luce e tenebre
Aveva solo diciannove anni Clarice Lispector, nata il 10 dicembre del 1920, quando scriverà il suo romanzo di esordio Vicino al cuore selvaggio (193 pagine, 12 euro), traduzione di Rita Desti, Adelphi 2022, che verrà pubblicato quattro anni dopo, nel 1943, rivelandosi al marginale mondo delle lettere brasiliano e successivamente a quello internazionale, colei che sarà accostata non a torto a Virginia Woolf e James Joyce e per la quale si parlerà persino di “Kafka al femminile”. Un talento precoce quello della figlia di due ebrei hassidici originari di un villaggio dell’Ucraina in fuga dai pogrom russi attraverso l’Europa, prima di imbarcarsi ad Amburgo verso il Brasile dove la piccola “Chaya” (nome di battesimo della Lispector) insieme alla famiglia arriverà all’età di appena due anni. Il grande paese del Sudamerica diventa la terra di adozione della futura scrittrice, oggi considerata la più importante del Novecento brasiliano, la quale è stata anche traduttrice, giornalista di costume per un grande quotidiano di Rio de Janeiro e autrice per l’infanzia. Ma è con i suoi romanzi e i suoi racconti che Clarice Lispector scompiglierà le carte del panorama letterario brasiliano del tempo impostato per lo più sulla dialettica tra i due ipotetici universi contrapposti del paese, quello del nord agreste e arcaico e quello del sud incentrato sui paesaggi delle metropoli e una modernità spesso frustrata, collocandosi oltre i confini di un realismo più o meno magico e consegnandosi alla posterità come la maggiore interprete delle tendenze moderniste di derivazione europea.
Giunta da un mistero, andata verso un altro
Pochi autori come Clarice Lispector riescono a tessere trame così essenziali e oscure, con un uso del linguaggio e della sintassi altamente evocativo e contundente, con la sfilacciata architettura del suo fraseggio e le torbide illuminazioni delle sue verità travestite da menzogne che creano mondi paralleli che per lo più coincidono con l’interiorità dei suoi personaggi, con il disordine organizzato della sua prosa e il succedersi degli attimi della vita narrati in minute sensazioni e pensieri che prendono forme sghembe e disturbanti. Alcuni versi di una poesia a lei dedicata da parte dell’amico e poeta Carlos Drummond De Andrade servono a sintetizzare al meglio la sua opera e la sua vicenda biografica e a definirla, al di là dell’immensa mole di studi a lei dedicati: «Da un mistero è giunta, verso un altro se ne è andata». Una vicenda letteraria e biografica che parla anche di una consapevolezza di genere che si esprime in un femminismo lontano dall’oggettività programmatica di un manifesto militante quanto nella costante e vertiginosa ricerca di autodeterminazione e di spazi di libertà di una donna alle prese come qualsiasi essere umano con le proprie domande e ansie esistenziali e con il proprio dialogo interiore che nelle sue opere si manifesta sotto forma del suo del tutto particolare flusso di coscienza, uno psicologismo e un ermetismo che destruttura linguaggio e sintassi dando vita a dei testi che più che descrivere mondi ne creano di paralleli, tanto da rendere difficoltosa e comunque parziale una loro qualsiasi archiviazione critica.
Dal Pernambuco al mondo e ritorno
Tracce del futuro e futuribile percorso biografico della scrittrice si trovano già nel suo romanzo di esordio. Clarice Lispector, prima di trasferirsi nella prima adolescenza a Rio de Janeiro a seguito del padre venditore ambulante, vivrà nel nord del paese, a Recife, nella regione del Pernambuco, dove perderà la madre all’età di nove anni. Nell’allora capitale del Brasile inizierà i suoi studi alla Facoltà di Giurisprudenza dandosi alla professione giornalistica e scrivendo i primi racconti. Proprio nell’ambiente di studio conoscerà il futuro marito che diventerà un diplomatico e che seguirà lasciando il Brasile per quindici anni in Europa e Stati Uniti, fino al termine del matrimonio del 1959 che coinciderà con il suo definitivo ritorno in Brasile dove trascorrerà il resto della sua vita scrivendo le sue opere della maturità e dove morirà nel 1977 a soli 57 anni per un cancro all’utero.
Creature dolenti
La protagonista di Vicino al cuore selvaggio ha molti dei tratti della sua creatrice. Il romanzo è il racconto della vita di Joana, dalla prima infanzia quando perderà il padre venendo affidata alla cura degli zii, poi adolescente inquieta con un rigurgito interiore di domande inesauste, una bambina che si prepara a diventare donna ascoltando le sue voci interiori in cerca di risposte sul senso di essere al mondo e sulla sua vita adulta che successivamente la vede catapultata nel matrimonio con Otavio, il quale ha un’amante, Lidia, dalla quale aspetta un figlio che Joana non ha saputo o voluto dargli. I personaggi del romanzo, come quelli di tutti i suoi romanzi e racconti sembrano provenire da un anfratto buio, quello della psiche, creature dolenti dell’Ade sempre in bilico tra luce e tenebre.
Come in trance
Il passato affiora nel presente sotto forma del costante monologare interiore del personaggio come dei molti personaggi dei racconti e dei romanzi della Lispector che sembrano parlare come pesci in un acquario, da citare in tal senso (ne abbiamo scritto qui) Acqua viva (Adelphi 2017) ove attraverso uno sregolato e impetuoso flusso di coscienza un narratore anonimo in prima persona si rivolge a un anonimo “tu”, a volte presente, a volte sottinteso lasciando percepire impressioni e visioni di travolgente intensità, o La passione secondo G.H. (Feltrinelli 2019) uno dei suoi romanzi (ne abbiamo scritto qui) più scioccanti e grotteschi che forse più di altri ha contribuito ad attribuirle la vocazione “kafkiana: una donna in un viaggio allucinato all’interno di una stanza attraversa un’esperienza mistica che la porta a mangiare un pezzo di scarafaggio, una sorta di summa letteraria della poetica della Lispector per la quale identità e tracciabilità dell’essere non è che spaesamento e disorientamento. Clarice Lispector scrive come in uno stato di trance, quando la coscienza allenta la morsa della sua tirannia e la mente può avventurarsi in un lungo viaggio interiore in territori sconosciuti verso inaspettate illuminazioni e estasi interiori, tanto da farle dire: «Tutto quello che si pensava diventava pensato» e ancora «certi momenti del vedere contavano, quello che si vedeva cominciava ad esistere» (dal romanzo), una vera e propria professione di fede letteraria.
Viaggi interiori
Il viaggio interiore di Vicino al cuore selvaggio, perché viaggi interiori sono tutti i suoi romanzi e racconti, da ricordare la bellissima raccolta completa di questi ultimi edita da Feltrinelli, Tutti i racconti, costituisce una specie di educazione alla vita se non una vera e propria educazione sentimentale: tramite il narratore onnisciente o l’indiretto libero o in prima persona, voci impersonali e sfuggenti, fedelmente al senso di spaesamento che vuole trasmettere la sua scrittura, si svela il percorso di Joana che si snoda tra gli insegnamenti più esistenziali che strettamente educativi di un vecchio professore, del breve periodo di vita insieme al padre, del trasferimento dalla zia, la quale appellerà la giovane Joana come “La vipera” volendone sottolineare l’irrequietezza e supposta malvagità, in realtà solo apparente e testimonianza invece di una ricerca di autonomia, autodeterminazione e anelito a una libertà interiore che nei meandri tormentati della bambina prima e della donna poi mostra la fatica di emergere e di uscire dalle convenzioni come quella di un matrimonio nel quale si è gettata in un modo convenzionale, appunto, e non convinto. Dalle pieghe del… racconto? affiora un passato che «Non è nostalgia, perché io ora posseggo il mio passato molto più di allora». Joana cerca di fare un sunto delle cose che aveva avuto: «un marito, dei seni, un amante, una casa, libri, capelli corti, una zia, un professore» per colei che si autodefinisce «Una donna insieme esitante e audace. Non ama e non si fa amare da nessuno» «Eppure quello che c’è in lei è qualcosa più forte dell’amore che si dà e in lei c’è qualcosa che esige ben più dell’amore che si riceve». In lei c’è anche il senso della corporeità di un’adolescente oltre che di una donna e una coscienza del sé che si manifesta nel flusso della scrittura per tortuosi sentieri e tramite il conturbante e oscuro fascino della sua prosa.
Dall’infanzia alla vita adulta
Dal giardino dell’infanzia il racconto si snoda verso la sua vita adulta fino alla fine del suo matrimonio e al confronto con la donna sua rivale in amore che è anch’esso un naufragio di intermittenze tra il monologo interiore di Joana e il vero e proprio dialogo, fino all’incontro in una casa di periferia dimessa e umida con un uomo sconosciuto che diventerà il suo amante in uno sfondo straniante e sottilmente disturbante, fino alla resa dei conti finale con il marito e l’abbandono, sia dell’amante che del marito, per intraprendere un viaggio che nella sua sospensione lirica mostra una di quelle epifanie tipiche dei personaggi della Lispector che nel caso del suo romanzo di esordio è anche l’espressione della sua professione di fede che la porterà da lì in avanti a seguire la sua vocazione letteraria come esprime al meglio quel senso affermativo che si trova nelle pagine finali del romanzo e che ricorda in qualche modo il monologo di Molly Bloom nel finale dell’ Ulisse di Joyce: «Verrà soprattutto un giorno in cui ogni mio movimento sarà creazione, nascita, riuscirò a rompere tutti i no che sono in me». Un implicito riferimento o quasi una parafrasi del monologo della Molly joyciana che chiude idealmente il romanzo dopo che l’esergo non era che una citazione tratta da Il ritratto dell’artista da giovane dell’autore dell’Ulisse, dalla quale è derivato anche titolo del primo romanzo di Clarice Lispector: «Era solo, abbandonato, felice vicino al cuore selvaggio della vita».
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