“I primi giorni” di Jean Cayrol è, dopo “Lasciatelo parlare”, il secondo volume della trilogia “Vivrò l’amore degli altri”. Armand, protagonista non più anonimo fa ancora i conti col passato nel lager, fra ricordi e allucinazioni, ma si apre al mondo e ai sentimenti. Merito anche di una coppia con cui condivide un appartamento
Con coraggio, coerenza e caparbietà Marietti 1820 prosegue nella pubblicazione di una trilogia che merita di deflagrare e arrivare almeno ai cosiddetti lettori forti. La scorsa primavera ha iniziato a rilanciare Jean Cayrol, combattente della Resistenza, francese di Bordeaux, con la prima parte di una trilogia pubblicata nella seconda metà degli anni Quaranta, Vivrò l’amore degli altri. Lasciatelo parlare (qui l’articolo), e adesso propone la seconda, I primi giorni (203 pagine, 21,50 euro), rilanciata con la traduzione di Valeria Pompejano, già edita dalla casa editrice Nonostante.
Questa specie d’amore
Passaggio decisivo dal primo volume (con tracce di speranza) al secondo è quello del faticoso ritorno alla vita di un sopravvissuto al lager e alla sua riscoperta dei sentimenti. Anonimo, senza generalità in Lasciatelo parlare, chiamato Armand nel secondo, il protagonista di questo secondo volume di Jean Cayrol – sopravvissuto a Mauthausen, figura immensa della letteratura e dell’editoria d’Oltralpe, ma non sotto i riflettori come ci si poteva aspettare, proporzionalmente al suo valore – muove i passi verso emozioni e sentimenti che sembravano estinti; la vita torna chiedergli di più del semplice respirare. E, dopo un percorso graduale, a ostacoli, Armand, evidente alter ego di Jean Cayrol, si accende di gelosia, confrontandosi con una specie di amore per interposta persona, quello fra Lucette e Albert. Cosa che gli procura brividi e tremori inediti, come mai ne aveva provati, nemmeno quando, prigioniero del campo di sterminio, aveva una fame atroce o soffriva gli inverni più rigidi.
«Non è semplice amare», pensa Armand. «Occorre sempre battersi, detestarsi. È questo amare».
Poi trova le parole:
«E voi dite di amarvi… Guardatevi… guardatevi… Io forse non sono niente, e allora colpisci me Albert, non Lucette, lei non se lo merita. Se devi prendertela con qualcuno, prenditela con me. Conosco bene le botte. Mi hanno modellato il corpo a forza di botte. Ho un corpo fatto apposta, io, un corpo su cui le botte non fanno più presa, scivolano come acqua. Scivola tutto su di me».
Conflitti interiori e forza di volontà
In Vivrò l’amore degli altri – testimonianza non tradizionale, finzione di forte carattere autobiografico – e specialmente a partire da questa seconda parte Armand, per quanto timido e goffo, inizialmente incapace di essere anche se stesso (molto simbolica la metà di un documento di identità che possiede), e dal rapporto conflittuale col suo stesso corpo e con la sua immagine, poi inizierà a sfoggiare una forza d’animo e una volontà che né lui né altri avrebbero potuto pensare d’avere. Merito anche della condivisione di un appartamento con la coppia costituita da Albert e Lucette. Quel che emerge di positivo, comunque, non deve far perdere di vista quel che Armand è stato: da ex deportato quale è, ha incubi, fobie ricorrenti (soprattutto le uniformi militari) tiene nelle tasche oggetti di poco valore, dorme coi vestiti sotto la testa, come se qualcuno potesse prenderglieli, come avveniva nel lager. Sospeso fra passato e presente, insomma, vittima di allucinazioni uditive e visive (sente voci e passi), ma capace di uno scarto decisivo nel campo dei sentimenti.
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