Occhi di bambina, la bizzarra famiglia di Domenica Luciani

Un lessico speciale e lo sguardo magico dell’infanzia caratterizzano “Una lavatrice in paradiso”, memoir di Domenica Luciani, una delle più amate autrici per ragazzi in Italia. In un paio d’anni a cavallo fra i Sessanta e i Settanta un racconto autentico – anche di memorie e fantasmagorie – di una casa dove «la follia regna sovrana». Storie che sono state anche serbatoio dei temi ricorrenti nelle sue storie per i più giovani

Su cosa sia un memoir, il dibattito contemporaneo è attualmente aperto. Su cosa sia invece un libro che sa emozionare, e che lega in una trama invisibile autore e lettore, il parere dovrebbe essere condiviso. Una lavatrice in paradiso. Fatti, gatti e oggetti di casa mia (280 pagine, 18 euro, pubblicato da edizioni Toscana Oggi, appartiene a questo scaffale speciale. Si tratta di un unicum per ora, frutto della penna di una delle autrici per ragazzi più amate in Italia, Domenica Luciani. Non è però una storia per i più piccoli, e forse non è nemmeno una storia, perché nel dare forma al memoir si avvale della libertà di raccontare il vero. Solo che se il vero viene fuori da una famiglia grande e a volte bizzarra, è condito con un lessico speciale e raccontato con gli occhi magici dell’infanzia, diventa più appassionante di un romanzo.

Storia di una casa, e di chi la vive e l’ha vissuta

“La nostra famiglia è sparsa per Firenze, però, penso, ci sono dei fili invisibili che ci tengono uniti e questi fili portano tutti a casa nostra. Non so perché questo pensiero mi riempio di immensa felicità”. Chi parla è Domenica, 7 anni, una cugina che è amica del cuore e sorella e che abita al piano di sopra, uno sguardo speciale che si posa sulle cose, generato un po’ dalla famiglia bizzarra che volteggia intorno, in una casa che è co-protagonista della storia, e un po’ dall’eredità che racconti, fatti, e persino gatti e lavatrici hanno saputo creare e restituire sotto forma di immaginazione e creatività.

È una storia di genitori, nonni, gattini, libri, ricordi e persone di casa, un storia di giochi e libertà: una storia di infanzia ricchissima e felice. Siamo nell’ottobre del 1969 quando il racconto inizia: arriverà fino all’estate del 1970, sempre narrato con lo sguardo e la lingua di una bambina, cadenzato di mese in mese da storie che arrivano da prima, e che hanno contribuito a costruire l’immaginario di chi racconta.

Se la dimensione del memoir indica che i fatti sono tutti autentici, non storie d’invenzione, il lettore intuisce che il valore di questa scrittura sta tutto lì, nella memoria salvata, protetta, raccontata. Una storia – e tante storie, e tante voci e persone diventate personaggi – che diventa scrittura, restituendo una profondità emotiva che fa insieme sorridere e commuovere. Al centro di tutto c’è la casa: un edificio storico, pieno di sorprese e angoli affascinanti e misteriosi. Ci sono affreschi, piastrelle esagonali, armadi e porte antiche, terrazze e acqua che manca, schegge che ricordano le bombe, lavatrici antiquate, e c’è persino un cuore che batte, la vecchia lampada in camera della nonna. La casa ha vissuto e vive: un mondo intero da scoprire con la curiosità e la fantasia che solo un bambino può avere, o forse che può avere l’intera frizzantissima famiglia che si riaccende di vita in queste pagine.

Fantasmi e altre storie spirituali

Se la casa di Firenze, dove vive la famiglia della protagonista insieme alla nonna e agli zii con la cugina, è al centro del racconto, gli “intermezzi” che pescano indietro nel tempo contribuiscono a ricreare un storia familiare più antica, ma inevitabilmente, anche, la storia stessa della casa. Siano racconti di parenti, leggende tramandate dai nonni o fatti storici reali, il presente del 1969 torna indietro a diversi livelli nel tempo. Ci sono i racconti fantasmagorici nel vero senso del termine, storie di fantasmi e presenze spirituali a volte divertenti, a volte senza risposte, storie forse improbabili, a volte paurose ma vere. Ci sono buffi episodi, ma anche vicende drammatiche che hanno a che fare con l’epidemia di spagnola, i bombardamenti della seconda guerra mondiale su Firenze oppure la deportazione degli ebrei. Ecco che una memoria narrata di bambina si fa qualcosa di più profondo, emozionante e vivo, e diventa così scrittura che salva dalla polvere del tempo. Per il lettore di Domenica Luciani non sarà difficile scorgere in questo serbatoio di narrazioni tanti dei temi ricorrenti nelle sue storie per ragazzi, dalle divertenti invenzioni narrative di casa a fatti “da brividi” e ambientazioni insolite come il cimitero, da presenze inspiegabili ai segreti dei felini domestici che vanno di tetto in tetto e non mancano mai, nella scrittura come nella realtà.

Lessico familiare

Sotto lo sguardo di un Dante dipinto sul soffitto del salotto, in questa casa prende vita un lessico familiare che nelle pagine di “Una lavatrice in paradiso” diventa una presenza fondamentale. Siamo a Firenze, in una famiglia fiorentina, e la lingua è plasmata sulla parlata locale: dalla nonna alle nipotine, passando per le generazioni antiche, in casa si parla fiorentino, ed è tutto un fiorire di espressioni gergali che restituiscono il suono delle chiacchiere, dalle chiassose riunioni a tavola ai racconti tramandati. Proprio come quello assai più celebre descritto da Natalia Ginzburg, anche in casa Luciani c’è un lessico di famiglia che fa da collante: le parole, inventate, storpiate, usate in sensi obliqui, sono di volta in volta gesti di affetto, consensi, carezze o sbuffi, anche loro mattonelle di una storia unica, proprio come la casa e i suoi angoli, come ogni oggetto che la popola e che fa parte, lingua compresa, della trama familiare. E così il cibo buono sono “brave persone”, la Befana è una befanottera, e tutti gli anglismi sono parole nuove da acquisire e registrare con le strutture dell’italiano nella mente creativa di una bambina che, forse non a caso, diventerà scrittrice e traduttrice.

Eppure la protagonista si sente portata per il disegno ed è apprezzata per il suo talento con la matita: fin dalle prime pagine cerca un modo sicuro per delineare i contorni delle cose, prima neri, a volte bianchi, forse grigi, o con l’ombreggiatura, come le insegnerà il fratellone Roberto che questo talento lo aveva innato, e che non a caso diventerà illustratore di tantissimi libri per ragazzi. I libri, del resto, non mancano: dal “Quaderno di tante cose belle” tenuto a scuola, ai bozzetti di Roberto messi in forma di libro, fino alle storie vere, quelle che tengono incollati genitori e familiari come in un mondo sottomarino, storie dotate di una dignità e importanza che non viene mai messa in discussione, anzi. “Raccontare le cose belle è anche più divertente che viverle” si legge a un certo punto, e su tutto si possono scrivere queste storie belle, come sa bene la piccola Domenica: “Ma dai!, dico, è facile!” fa alla cugina “Si può scrivere tutto su tutto”. Anche, appunto, sulla propria famiglia, in una casa dove “la follia regna sovrana”.

Oggetti come personaggi

Casa, lingua, ma anche e soprattutto oggetti. Perché, come dice il babbo fin dall’esordio: le cose hanno un’anima. Siamo alle soglie degli anni Settanta, il consumismo è in rampa di lancio e così gli oggetti si moltiplicano, molti dei quali sono di plastica. Un Monopoli, un cavallo a dondolo chiamato Furia, persino le palline di Natale, custodite con cura e parte di un vero e proprio romanzo a puntate tra i rami dell’albero. Vuoi la fantasia, vuoi la famiglia tutta intorno e un modo diverso di tenerne insieme trame e orditi: nonostante il loro imperare, e il proliferare della plastica che qualche decennio dopo rovinerà il mondo, gli oggetti sono ancora pieni di vita, e parlano sulle ali della creatività. C’è lo spirito bambino, certo, ma c’è anche, forse, un modo di guardare, un’attenzione alle cose oggi ormai in via di estinzione: ogni oggetto è speciale perché legato a una storia, a una persona, e come tale è memoria, ricordo che vibra, parte del quotidiano perché già oggetto vivo nel passato.

È così che nel gioco di Domenica e della cugina prendono vita le storie: nei piani segreti, nell’altarino della nonna, dietro le porte dove vive Mago Merlino, nella casetta di cartone, negli angoli di casa: «la nostra casa lascia tracce nascoste dappertutto e ritrovarle è come scoprire sulla spiaggia quelle tenue orme di gabbiani che appaiono e scompaiono d’un tratto sulla rena». Forse è proprio da qui che nasce l’attitudine alla scrittura. Da una casa speciale, dalla famiglia unica che la abita e dal suo lessico tarato su misura, dalle sue storie tramandate, dallo sguardo bambino conservato con intelligenza e cura. E da un ingrediente speciale che sa mettere insieme tutti gli altri nella giusta dose, restituendo così il contorno delle cose, quello che serve a staccarle dallo sfondo e renderle vive per sempre nell’inchiostro delle pagine.

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