Sarà presentato a Roma, a Più Libri Più Liberi (da oggi all’8 dicembre), “Senso”, nuovo libro di Alessandro Orofino, per Pathos Edizioni, già ordinabile sul sito della casa editrice torinese e sui principali store online. Il protagonista Michelangelo è un uomo deluso dalla vita che, travolto da una serie di insuccessi personali, sembra essere destinato a un epilogo tragico, ma l’incontro con il suo scrittore preferito lo costringerà a interrogarsi sul vero senso delle cose e a comprendere che rinascere è un’opzione sempre praticabile. Per gentile concessione dell’editore e dell’autore ecco un’anticipazione
Col passare delle primavere, Michelangelo si era però accorto che in quelle pagine non aveva trovato alcuna redenzione, nessun punto di fuga. Si era impigliato in mille storie solo per non vivere la propria, solo per avere una impalcatura dietro la quale nascondersi e non affrontare la realtà per come era davvero: un inutile e complicato gomitolo di problemi e sfide, cresciuto di anno in anno, fino a non poter più essere sciolto, fino a trasformarsi in una matassa inestricabile.
A quei libri doveva tutto, proprio perché non gli doveva nulla: lo avevano distratto, cibato, coccolato, ma mai guarito. La sua inquietudine, ammesso che fosse inquietudine e non altro, aveva dilagato, sfondando gli argini di contenimento e penetrato, in maniera osmotica, ogni suo respiro, ogni pertugio della sua vita, segnando irreversibilmente il suo stesso vissuto.
Sempre inquieto.
Per questo non poteva liberarsene, perché per lui quei romanzi, quei racconti e quei saggi rappresentavano, nel bene e nel male, tutti i passi che lo avevano aiutato a trasformarsi in un adulto.
O meglio, in un fantasma.
Sì, un fantasma.
Appollaiato, come un’anima triste, in quell’appartamento da cui non si allontanava quasi più: un perimetro inespugnabile, inviolabile ed inviolato, pronto ad accoglierlo e a proteggerlo da tutto ciò che potesse indebolirlo, impensierirlo, scalfirlo. Là, nel suo regno, Michelangelo si sentiva al sicuro. In quel reame fatto di niente, isolato da tutto, accessibile a pochi, aveva creato un eremo come ultimo avamposto della sua esistenza, prima di abbandonarla del tutto, prima di uscire da un corpo che non avvertiva più come proprio, ma solo come un temporaneo fardello del quale liberarsi quanto prima. Per fuggire da tutte le masse tumorali della quotidianità, dalle storture, dalle pozzanghere limacciose alle quali, da troppo tempo, si abbeverava. Anelava oramai ad una serenità, ad un tepore che il mondo riteneva non fosse più in grado di concedergli. (continua in libreria…)
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