“Brucia l’origine” di Daniele Mencarelli racconta di un uomo sospeso tra un presente di successi professionali e appagamento socio-economico a Milano e un passato di umili natali, di cui si vergogna, a Roma. Un breve ritorno nella capitale lo metterà di fronte a familiari e vecchi amici, ma soprattutto ai sensi di colpa, bugie e sotterfugi. Un libro politico – con un linguaggio meno lirico e più dialettale – che s’interroga e interroga su periferie, amicizie, classismo e immobilismo…
Ci saranno stati quelli che si saranno chiesti cosa volesse dalla poesia quel ragazzo venuto dal nulla. Ci saranno stati quelli che si saranno chiesti cosa volesse quel poeta di nicchia nel campo aperto della prosa. E ancora, ci saranno stati, ci sono quelli che si chiedono cosa pensa di fare Daniele Mencarelli, campione di autofiction (stiamo semplificando, a proposito della sua trilogia) e perfino di serie tv, come pensa di muoversi nel vano nobile del romanzo. E Mencarelli non si sta muovendo in punta di piedi, ma sta saltando, roteando, danzando, fa faville, e senza fracassare nessun ninnolo di valore. E continua a fare grandi cose senza ripetersi, senza scivolare nei manierismi, spogliandosi di se stesso, specialmente a livello linguistico e formale (asciugando i passaggi lirici, ad esempio, nell’ultimissimo titolo), immergendosi ogni volta completamente nel contesto che ha scelto di raccontare. Da circa sei anni le sue parole arrivano al grande pubblico, ma la sensazione è che Mencarelli continui a essere un outsider, fuori posto e fuori dagli schemi, non perfettamente integrato, non integrabile, con qualche lustrino, con qualche ipocrisia, con qualche dinamica poco chiara che, come ogni recinto, riguarderà anche quello editoriale e letterario.
Albero senza fogli e radici, forse solo un tronco
Forse Daniele Mencarelli è un po’ come il suo ultimo protagonista, il romano Gabriele Bilancini, designer di grido partito dal niente, che non è del tutto accettato e che sente di non appartenere alla Milano del successo, dell’apparenza e dell’opulenza, dove si muove e si è già affermato. Gabriele, per la verità, vive una doppia frattura, non è a suo agio non solo nel suo punto d’arrivo, ma nemmeno in quello di partenza, nella famiglia d’origine, al solito bar, quello del sor Antonio, in compagnia della comitiva di una vita (Marcello detto Lello, Vanessa, Cristiano, Francesco), nella città che gli ha dato i natali, umili natali di cui si vergogna. Gabriele Bilancini è, incredibile a dirsi, un albero dal fusto robusto e maestoso, ma senza più radici, se guarda al passato, e con rami spogli di foglie, senza presente: rischia di diventare un vecchio tronco senza capo né coda.
Acquedotti come elefanti
L’amicizia, le periferie, il classismo di certi ambienti, l’immobilismo di altri, le scoperte dolorose che si fanno di pari passo con l’età adulta. Di tutto questo è intriso Brucia l’origine (187 pagine, 19 euro), nuova scommessa romanzesca di Daniele Mencarelli, targata ancora Mondadori, forse accolta più tiepidamente (quelli delle prime righe di questo articolo avranno preso il sopravvento) rispetto ai suoi precedenti lavori, ma che da questo piccolo osservatorio rilanciamo invece come un libro di grande impatto, meno poetico se vogliamo (nello spogliarsi di se stesso che attribuiamo a Mencarelli), con ripetuti e lunghi inserti dialettali nei dialoghi, che si adeguano agli individui, familiari e amici di gioventù, che parlano e al proscenio in cui si muovono, la Roma del quartiere Appio Tuscolano, con gli antichi e storici Acquedotti che incombono come elefanti e scandiscono i capitoli del libro. Gabriele torna a casa dopo quattro anni, allontanandosi per qualche giorno da Franco Zardi e da sua figlia Camilla, fidanzata di Gabriele, ignara del suo mondo e del suo passato, che il ragazzo romano racconta fra bugie e sotterfugi. Sente il dolore della distanza da ciò che è stato, ma prova anche nostalgia, non si riconosce nella vita di sempre condotta dai suoi vecchi amici eppure riesce a condividere ancora, con loro, esperienze sincere e mai artefatte. Una lotta interiore, uno spaccato psicologico, che Mencarelli è abile a evocare in capitoli brevi ma di grande sostanza, in cui Gabriele – papà meccanico tutt’altro che loquace, mamma casalinga – si sottrae alla verità, va avanti alimentato più da menzogne che da coraggio.
Infelicità senza denaro e denaro senza felicità
Sogni realizzati e sogni falliti, infelicità senza denaro e denaro senza felicità, sono alcuni dei poli emblematici, dei temi di questo romanzo che, come il precedente Fame d’aria (ne abbiamo scritto qui; qui una videointervista dopo l’uscita di Fame d’aria), procede nel solco dell’impegno socio-politico, di una letteratura che non può essere per sua definizione intrattenimento. Discutono e finiscono anche per scontrarsi Gabriele (divorato da tanti sensi di colpa, dalla coscienza sporca) e i suoi amici, ai quali sembra impossibile che chi non ha problemi economici possa perfino non essere felice. Lui stesso sembra essere un esemplare vivente, un privilegiato, baciato dalla grazia del talento, scelto da un mentore di fama mondiale, eppure lontano dalla gioia, ancorché scisso, interdetto, dubbioso, tra due non appartenenze.
Se una madre ama e sbaglia…
Come in altre prove di Mencarelli anche in Brucia l’origine spicca la figura materna. Stavolta, in Brucia l’origine c’è Tania, una madre umile e dolente, che commette anche errori, primo fra tutti, accecata dall’amore per il figlio Gabriele, dare addosso alla figlia Giorgia, che ha alle spalle un matrimonio a pezzi e un presente lavorativo inesistente ma camuffato dall’ennesimo inganno, a cui Gabriele regge il gioco. È un amore egoista, che discrimina e alimenta contrapposizioni, omissioni, silenzi subdoli, gelosie magari non esplicitate ma che rischiano di muoversi sotterranee e fare ancora più male. E così in un fine settimana, concepito per celebrare un anniversario di nozze dei genitori, e prolungatosi per festeggiare i quarant’anni del vecchio amico Cristiano, questa e altre questioni esplodono. Ed è significativo che nelle ultime due pagine del romanzo sia proprio Tania, la madre di Gabriele, con le sue presunte certezze a fare capolino.