Nikolai Prestia, se l’inadeguatezza è un disagio generazionale…

Con “La coscienza delle piante” Nikolai Prestia squarcia il velo su un’epoca in cui il risultato vale più del percorso, e dove la velocità è l’unico parametro con cui si giudica il successo. Il protagonista Marco finisce al pronto soccorso, vittima di un malessere proprio di chi vive il percorso universitario come un vero e proprio insuccesso…

Smarrimento, confusione, incredulità, paura. Sono questi i sentimenti che il protagonista del libro, Marco, lascia trasparire, fin dalle prime battute, al lettore che legge il resoconto di un ricovero in pronto soccorso attraverso gli occhi e la mente di colui che, fin da subito, realizza di essere uno dei tanti. Dei troppi in realtà. Marco si trova ancora sulla barella dell’ambulanza perché i posti letto sono finiti, o meglio sono tutti occupati. È ancora incredulo ed evita l’interazione con gli altri degenti. Cerca di fare scudo e si isola, di nuovo. Perché, in fondo, è proprio la solitudine ad averlo condotto in quel luogo. Una solitudine che ha origine non dall’essere o dal sentirsi realmente solo, bensì dal sentirsi inadeguato. Un disagio che non è solo di Marco ma di tutti, perché si tratta di un vero e proprio disagio generazionale e sociale. Un disagio che diventa rabbia allorquando si realizza di vivere un’epoca in cui il risultato vale più del percorso, e dove la velocità è l’unico parametro con il quale tutti, più o meno consapevolmente, giudichiamo il successo.

Le ultime quattro sigarette

Quando la fase acuta del suo attacco di panico è rientrata, Marco comprende di dover fare i conti con la propria coscienza, affrontare i traumi del passato. L’unico vero modo per poter guardare con certezza e sicurezza al futuro. Ma per farlo, ha bisogno non dell’ultima bensì delle ultime quattro sigarette, dopodiché si ripromette di smettere di fumare. Questo passaggio non può non sollecitare la mente del lettore al ricordo del celeberrimo personaggio alle prese con la propria coscienza e con l’ultima sigaretta.

Il problema di fondo del protagonista de La coscienza di Zeno di Italo Svevo non sembra essere il vizio del fumo in sé ma l’incapacità di tenere fede ai buoni propositi. Così egli acquista i tratti dell’inetto sofferente di una malattia morale, incapace di assumersi alcuna responsabilità, un antieroe, un perdente, come indica il suo atteggiamento rinunciatario. Ma il romanzo scritto da Svevo non è la storia di Zeno Cosini, bensì la storia che egli racconta. La coscienza di Zeno include dure racconti: quello dell’analista e quello di Zeno. Ma il primo, incastonando il secondo, dà all’insieme un senso particolare: il libro ci dice questa è la storia che Zeno racconta e non questa è la storia di Zeno. Un esempio di metanarrativa le cui regole interpretative si possono utilizzare anche nell’analisi del libro di Nikolai Prestia: La coscienza delle piante (192 pagine, 16 euro) non è il racconto della vita di Marco bensì il racconto che egli fa della sua vita attraverso la sua coscienza.

La strada della confessione

Svevo si è spesso rivolto alla letteratura non come semplice mezzo di evasione dalla realtà, ma come vero e proprio strumento conoscitivo con il quale esplorare e spiegare la natura umana e la vita. Egli è convinto che la mente e il comportamento umani abbiano molte caratteristiche universali che si osservano in tutti gli individui a prescindere dalle contingenze storiche, sociali e culturali delle loro vite, e che molte dinamiche sociali umani riflettano la competizione (che egli chiama “lotta”) per la sopravvivenza e per la riproduzione.3 Una competizione difficile da affrontare per il protagonista del romanzo di Nikolai Prestia (qui un suo articolo) al punto che egli si nasconde dietro una vita immaginata, sognata, mentita, perché costruita intorno alle menzogne che racconta allo scopo di nascondere i fallimenti. O meglio quelli che la società identifica come tali e che ricadono su di lui come macigni.

Zeno Cosini aveva scelto il distacco ironico come terapia per l’ineludibilità della natura umana, Marco tenta invece la strada della confessione e, dinanzi al suo terapeuta, si apre al racconto vero della sua coscienza.

L’adolescente ha fame di esperienza, è animato da una voracità psicologica che lo spinge a vivere la sua realtà esistenziale con irruenza, con la percezione di non esserne mai sazio; l’adulto, invece, ha bisogno di digerire, ovvero di accettare la sua dose di esperienza assimilata per renderla conforme a una realtà che scopre essere “altro da sé”, una realtà di cui non può disporre in modo indiscriminato, onnivoro: l’adulto che non riesce in questo adattamento, restando adolescente, ancora affamato, rientra nell’ambito del patologico. Gli adolescenti di un secolo fa, pur apparendo ribelli agli occhi degli adulti, venivano da questi ridotti alla sottomissione, al rispetto della volontà dei padri imposto con la forza. Oggi le dinamiche sono cambiate. Da alcuni decenni il mito dominante in Occidente, e ormai si può dire in tutto il pianeta, è quello di Narciso. L’Ideale dell’Io ha più spazio nella dimensione psichica della persona rispetto al Super-Io. L’adolescente, distratto da uno scontro con un adulto che non si oppone alla sua individuazione con la forza, si specchia nel confronto intenso con i suoi pari. Vivono insieme la loro crescita, non più ristretti nel contesto familiare, danno sfogo alla loro fame di esistenza, vivono emozioni  e sentimenti, condividono la loro energia vitale senza più le forme repressive dell’epoca precedente, eppure la frattura resta, resta l’incomprensione fra adulti e adolescenti, e persiste un disagio evidente vissuto dagli adolescenti.

Una società che progredisce, ma nel verso sbagliato

Le trasformazioni sociali e culturali che, da oltre un trentennio, stanno caratterizzando la struttura delle società occidentali hanno contribuito, tra le altre cose, ad accentuare la rilevanza del cosiddetto “disagio giovanile”, la cui diffusione è stata favorita sia dai profondi mutamenti intervenuti nella struttura delle relazioni sociali (in larga parte legati all’avvento della società digitale), sia dalle difficoltà che, in seguito alla crisi economico-finanziaria della fine degli anni duemila, hanno interessato alcune parti della popolazione, con accentuazione delle diseguaglianze e amplificazione delle incertezze, non solo lavorative, legate al passaggio dei giovani all’età adulta. Le cause sociali (come quella del disagio giovanile) sono a volte strumentalizzate per legittimare cambiamenti che di fatto potrebbero inasprire le disuguaglianze, anziché ridurle. Gli studenti universitari sembrano sentire sempre più la pressione sociale, le aspettative familiari e la paura del fallimento. «Non siamo più disposti ad accettare senso di inadeguatezza, depressione o persino suicidi a causa delle condizioni imposte da un sistema malato che baratta la persona con la performance», sono state le parole di una studentessa all’inaugurazione dell’anno accademico all’Università di Ferrara nel 2023. Un aspetto evidenziato dagli studenti, in termini negativi, è la percezione che all’Università si faccia riferimento a un modello di prestazione che fa sentire molto a disagio chi è fuori corso.

Isolamento volontario o indotto, aspettative reali o presunte dei genitori, senso di vergogna e inadeguatezza sono tra i sintomi principali del malessere provato dagli studenti che vivono il percorso universitario come un vero e proprio insuccesso. Ed è esattamente intorno a queste tematiche che Nikolai Prestia (qui una sua intervista) ha costruito la struttura portante de La coscienza delle piante. Un libro che parla di un percorso interrotto e poi ripreso (quello universitario) e di un altro percorso (quello terapeutico) che Marco intraprende per analizzare non tanto il primo quanto il suo essere interiore, il tutto in un libro che è esso stesso un percorso che conduce il lettore ad analizzare luci ed ombre di una società che progredisce è vero ma che a volte lo fa nel verso sbagliato.

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