Leggere resta ancora uno dei migliori modi per provare a disinnescare il male, non si spiegherebbero i tanti roghi di libri della storia, e quello più tristemente famoso e su larga scala, messo in pratica dai nazisti nel 1933. Lo racconta Fabio Stassi in “Bebelplatz”, concentrandosi sugli autori italiani – cinque, irregolari, quasi tutti diversi fra loro – travolti dall’anatema di Goebbels. Ma lo scrittore di origini siciliane va oltre, tra censure e manipolazioni dei conflitti del presente e un’incessante domanda sulla relazione fra letteratura e realtà…
Ho letto il nuovo libro, pubblicato da Sellerio, del siculo-laziale Fabio Stassi non come segno di gratitudine per la videointervista (questa qui) di qualche tempo fa e per la decina di autografi dedicati alle mie figlie che ha pazientemente scritto sui suoi volumi. L’ho letto perché cercavo intelligenza, poesia, amore per la cultura e un talento che sboccia lieto e cristallino, ripetutamente, se non a ogni pagina, di certo a ogni capitolo. E nei suoi libri una, o più di una, o tutte queste cose non mancano mai. Non è un romanzo, Bebelplatz (300 pagine, 16 euro), e glielo si perdona perché già nelle prime pagine, e anche oltre, s’aggrappa a Sebald, Bernhard, Morante, Sciascia e Canetti, per imbastire una storia personale che è anche collettiva, e riguarda il passato, e un’altra parallela che è immersa fino al collo nel presente; in quest’ultimo caso il riferimento è all’invasione russa dell’Ucraina (e in generale ai salti in avanti di certi uomini soli al comando, o alla politica intesa come arma di distruzione, o deportazione, di massa): durante un mini tour post-pandemia negli istituti di cultura italiana in Germania, in una stazione tedesca, solo cinque settimane dopo l’attacco deciso da Putin, Stassi scorge gli sfollati ucraini e con loro i fantasmi del passato più nero.
… sul binario di fronte centinaia di donne e di bambini in fuga dal confine orientale ucraino stavano scendendo da un altro convoglio e riempiendo la banchina di bandiere. Una cosa del genere l’ave letta solo sui libri di storia, e presto ebbi pudore anche di guardare.
Censura, manipolazioni e persecuzioni sono il pane quotidiano delle guerre di oggi, sembra suggerirci non così implicitamente Stassi, guardando alle violenze ripetute e diffuse nel globo, al confine tra Ucraina e Russia, in Medioriente, potenzialmente ovunque.
Azzerate voci pacifiste, bolsceviche ed ebraiche
La storia dimostra che il sapere e la cultura sono tutt’altro che innocui. Leggere, far leggere, diffondere la lettura resta ancora adesso uno dei modi migliori per disinnescare il male, le follie politiche che l’hanno incarnato nel Novecento e chi ancora oggi a quelle aberrazioni fa riferimento, affascinato e invasato. Su questi sentieri ci conduce l’imperdibile Bebelplatz. La notte dei libri bruciati (300 pagine, 16 euro), saggio vivo e non polveroso di Fabio Stassi – con nota introduttiva di Alberto Manguel – che richiama un tempo, un luogo (a Berlino, oggi completamente e simbolicamente stravolto con un’installazione da un artista israeliano, Micha Ullman), un episodio pianificato da Goebbels, ministro per la Propaganda del Reich; il 10 maggio 1933 – ispirato da liste di proscrizione di un bibliotecario, Wolfgang Hermann, e dall’analogo episodio ottocentesco del Wartburgfest – vengono abbandonati alle fiamme migliaia di libri saccheggiati ovunque, a cominciare da importanti biblioteche, un patrimonio trasformato in fumo e cenere. Eliminate voci pacifiste e antimilitariste, progressiste, bolsceviche, ebraiche, fatti fuori editorialmente Brecht, Zweig, Marx, Remarque, Dos Passos e tanti altri. Con roghi che si propagano e si ripetono con le loro disgustose liturgie su tutto il territorio tedesco, grazie a un’organizzazione impeccabile, e a un rito del fuoco purificatore che farebbe ridere se non ci fosse da piangere. Libri e lettori, storie e storia alla mano su cui Fabio Stassi s’è documentato, sono sempre stati e sempre saranno una delle minacce peggiori per chi detiene il potere, specie per quanti l’hanno agguantato con modalità antidemocratiche.
Una mappa stupefacente
Lo sguardo da scrittore che si ritrova Fabio Stassi l’ha condotto ad approfondire e a studiare, in modo intermittente ma appassionato gli autori individuati dai solerti e volenterosi «compilatori delle liste nere» annientati dalla fiamme naziste, isolando cinque nomi italiani (mettendo da parte politici e un paio di classici latini) che, all’apparenza e di primo acchito, non sembrano avere particolari minimi comun denominatori, eccetto forse un paio:
Componevano una mappa inedita della nostra letteratura, in un certo senso stupefacente. Sono tutte e cinque, ognuno per ragioni diverse, degli irregolari. Lo disposi in ordine alfabetico:
Pietro Aretino
Giuseppe Antonio Borgese
Emilio Salgari
Ignazio Silone
Maria Assunta Giulia Volpi.Quattro uomini, e soltanto una donna. Provai a immaginarmeli assieme. Un poeta licenzioso del Cinquecento, uno scrittore per ragazzi, una scrittrice di romanzi rosa e due autori antifascisti del sud Italia: una compagnia di giro davvero singolare. […] C’era un senso letterario da estrarre? O era stata soltanto una casualità ad averli messi al bando insieme?
Perché quegli italiani. E Morante che aleggia…
C’è una digressione non di poco conto, anzi molto significativa, che fa venir voglia di andare a recuperare tutte le opere di uno dei cinque italiani presi di mira dai roghi nazisti, Giuseppe Antonio Borgese e, in particolare, Golia. Marcia del fascismo (pubblicato da La Nave di Teseo), una delle sue opere scritte ai tempi dell’esilio statunitense, addirittura direttamente in inglese. Borgese, siciliano e cosmopolita, antifascista convinto, senza nessuna forma di adesione al regime, anzi. Era fra quanti sosteneva un governo federale mondiale, auspicando per il progresso futuro «una specie di socialismo liberale, o liberalismo sociale»; poco prima della morte era stato anche candidato al premio Nobel per la pace. Sciascia ricorda Stassi, lesse Borgese fino agli ultimi giorni, crucciandosi di non aver dato forma compiuta, attraverso un’opera, alle sue riflessioni sul conterraneo, uno dei grandi dimenticati del primo Novecento che, con Golia, aveva scritto un «libro di radicale importanza». Fondamentale, e in qualche modo più intima, la parentesi dedicata a Salgari, di cui il decenne Stassi aveva ricevuto due cofanetti in regalo. Anticolonialista e antimperialista, internazionalista e rivoluzionario, Salgari era «il più grande cantore in maschera del Risorgimento». Raffinate, approfondite e sottili sono anche le indagini di Fabio Stassi intorno ad Aretino, Silone e Maria Volpe, in arte Mura, oltretutto di fede fascista, autrice di bestseller rosa, uno dei quali discutibilissimo agli occhi di Mussolini. Ed è in qualche modo un’indagine rintracciarne i tratti comuni di irregolarità, devianza e naturale opposizione all’ottusità del potere. Ognuna di queste vite serve anche a Fabio Stassi per ragionare attorno all’idea di arte, e in particolare di letteratura, nel confronto con la realtà. Aleggia ancora Elsa Morante e una sua frase criptica (o forse no), scritta in Pro o contro la bomba atomica (Adelphi), secondo cui uno scrittore è «un uomo a cui sta a cuore tutto quanto accade, fuorché la letteratura».
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