Le donne di Maria Teresa Coraci? Antitetiche al patriarcato

Da Maria Callas a Lucia Joyce, a Camille Claudel, passando per Circe – unica figura mitologica in mezzo a tante in carne e ossa – Maria Teresa Coraci ha raccolto dieci voci di donne, scritte in prima persona, in “Venivamo da un sogno. Ritratti di scrittura femminile”. Testi pensati per una dimensione teatrale o una lettura ad alta voce… 

Dal corteo in marcia le donne urlano uno slogan secco e deciso. Mi accorgo della mia assenza e mi rammarico, osservando il gruppetto agguerrito che capeggia il serpentone che attraversa la città.
Io sono favelada! Io sono favelada! ripetono in coro.

Dieci ritratti di donne, scritti in prima persona. Storie reali (tranne una, attinta dal mito) accadute nell’arco di circa un secolo e mezzo fa, a cavallo fra due millenni, che nelle loro peculiarità hanno in comune scelte di vita inaccettabili per la cultura patriarcale del tempo, e pagate pertanto a caro prezzo: la reclusione in manicomio o in cliniche psichiatriche (per tre di loro), la morte violenta (altre tre), il suicidio (una) o ancora l’abbandono dell’uomo amato (una). Confinate nei ruoli di figlie, di mogli e di madri, escluse da altre dimensioni pubbliche e politiche, imprigionate nella cultura del tempo innanzitutto dalla famiglia d’origine (ma anche da quella da loro formata) attraverso l’ombra autorevole o, più di frequente, autoritaria di un uomo (padre, fratello, compagno o marito, collega-maestro-mentore) e in qualche caso anche di un’altra donna: madri che hanno incarnato il ruolo di carceriere del patriarcato, o una dea nel meta-racconto di Circe. Sono donne mosse (quasi) tutte da una passione, per lo più artistica: la pittura (Jeanne Hebuterne), la body e la land art (Ana Mendieta), la fotografia (Dora Maar), il canto (Maria Callas), la poesia (Nadia Anjuman Herawi), la scultura (Camille Claudel), la danza (Lucia Joyce); oppure mosse da una passione politica (Marielle Franco) o puramente speculativa (la filosofia per Circe).

L’eccezione

Resta fuori, dall’elemento comune e motivante della passione, la storia di Franca Viola, rapita e violentata dall’aspirante fidanzato, la quale, non ancora diciottenne, rifiuta la consuetudine (riconosciuta dalla legge) che l’avrebbe voluta sposa del proprio aggressore come risarcimento della violenza subìta. La sua vicenda darà avvio al processo che porterà all’abolizione in Italia del matrimonio riparatore e a una rubricazione dello stupro da oltraggio alla morale al più grave reato contro la persona. Sviluppi successivi che rimangono del tutto fuori dal testo, centrato opportunamente sul momento dell’avvenuta liberazione. La sua storia si distingue ancora dalle precedenti per il ruolo positivo, di pieno appoggio della famiglia d’origine, e del padre in particolare, che la sostiene nel suo fermo rifiuto: Non riparo questo orrore. Non riparo la sua violenza. Non riparo ciò che io non ho rotto, fa ripetere tre volte l’autrice alla protagonista nel corso della narrazione.

Voci da altri luoghi

La ripetizione è un elemento espressivo presente anche in altre storie: A novembre i manicomi sono più freddi, afferma più volte Camille Claudel, Io per respirare avevo bisogno di poesia, ricorda Nadia Anjuman, e Cadere è un vero e proprio refrain nella vicenda di Jeanne Hebuterne. È una delle modalità con cui l’autrice costeggia il drammatico resoconto autobiografico per trasformarlo piuttosto in voci che giungono da luoghi altri, indefinibili, da una dimensione sospesa e sfumata, talvolta coincidente, prossima o comunque legata al momento della morte, fin dal primo monologo, Por Marielle (che ha vinto il Premio Serra, nel 2022). Nei suoi ritratti – Venivamo da un sogno. Ritratti di scrittura femminile (65 pagine, 12 euro), prefazione di Fiorella Bassan, Navarra 2024 – Maria Teresa Coraci presuppone, e di fatto lo suscita, un cerchio intimo di presenze attorno a ciascuna di quelle voci: un… pubblico ristretto, empatico, in silenzioso ascolto di quegli assorti e vibranti soliloqui. E nell’implicita e intensa necessità dell’ascolto si percepisce l’esperienza dello spazio teatrale dell’autrice, che ha creato dei testi indubbiamente pensati per una lettura a voce alta.

Donne in cammino

Dieci brani autonomi, fra i quali il lettore troverà punti di contatto per analogia e per opposizione (ben oltre quelli qui appena accennati) a vari livelli, soprattutto tematico-formali, in quella che (con l’eccezione di Viola e di Circe studiava filosofia) può essere letta come una sorta di selettiva, circolare Antologia di Spoon River tutta al femminile, e dove possiamo immaginare che il gruppo di donne in cammino a Rio De Janeiro del racconto iniziale si congiunga col gruppo di Parigi dell’ultimo.

Stanotte ti ho sognato, dico vedendolo arrivare. Eri in auto lungo una strada di Parigi. Da lontano mi hai vista camminare spedita con un gruppo di donne.

Chi erano? Da dove venivate? chiede Samuel curioso.

Venivamo da un sogno, rispondo. Venivamo tutte da un sogno.

 

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