In “Come la religione si è evoluta e perché continua ad esistere” lo psicologo Robin Dunbar fa un viaggio entusiasmante a ritroso nel tempo, puntando la propria lente d’ingrandimento sulla dimensione sociale della religione. E sui vantaggi che, nei secoli, ha dato ai gruppi, cementandoli, prima ancora che ai singoli…
Quello di Robin Dunbar, psicologo dell’Università di Oxford, è uno sguardo inedito sulla storia e l’evoluzione della religione. Tramite la sua ultima fatica letteraria – Come la religione si è evoluta e perché continua ad esistere (276 pagine, 24 euro), in Italia pubblicata per i tipi di Mimesis – Dunbar inquadra l’argomento da un punto di vista alternativo: il suo sforzo, infatti, è quello di andare oltre a quanto determinato dai biologi evoluzionisti, i quali concordano (più o meno) sul fatto che la religione sia una sorte di effetto collaterale dell’evoluzione umana, un effetto che ha come beneficiario principale la sopravvivenza del singolo.
Prospettiva invertita
Dunbar, invece, inverte la prospettiva, e dà molto peso ai rituali, quindi al gruppo, perché a suo avviso la religione si è imposta (anche e soprattutto) perché nei millenni ha assunto un ruolo fondamentale per l’affermazione e il successo delle prime comunità. Per Dunbar, perciò, la lente d’ingrandimento va puntata sulla dimensione sociale del fenomeno. La religione è in grado di far da collante, rendendo il gruppo più forte, più solido e alla lunga vincente. Il singolo viene dopo, riceve un vantaggio sì, ma a cascata.
La maggior parte dei ricercatori con una mentalità evoluzionista ha sostenuto che le credenze religiose, e perciò le religioni, sono il sottoprodotto maladattivo di meccanismi psicologici che esistono per altre ragioni evolutive perfettamente valide… Ma niente mi sembra più dispendioso in termini di tempo, emozioni e denaro come la religione… La religione deve avere alcuni benefici.
Oltre la psicologia cognitiva
Lo studioso inglese è abile a superare le barriere della psicologia cognitiva per inoltrarsi nei meandri di numerose discipline che inevitabilmente finiscono per arricchire e dare spessore al sua articolato lavoro, basandosi anche su ricerche innovative, casi clinici e storie di leader carismatici: dalle neuroscienze all’anatomia, passando per la paleontologia, l’antropologia, la biologia e la genetica, Robin Dunbar compie un entusiasmante viaggio a ritroso nel tempo. E non vengono trascurate le analisi relative alle dinamiche interne alle religioni, da quelle di massa – che storicamente tendono a frammentarsi – a quelle che, invece, contano pochi adepti e che spesso si esauriscono nell’arco di qualche generazione. Il tutto tramite una prosa chiara e priva di fronzoli che rende la lettura agevole anche per i profani. Ne risulta un’opera agile nella sua completezza, che non può non essere considerata un saggio di divulgazione scientifica a tutti gli effetti.
Linguaggio e domande
È altamente improbabile che la religione così come la conosciamo si sia evoluta prima della comparsa degli esseri umani anatomicamente moderni, intorno ai 200.000 anni fa.
In quasi 300 pagine, dunque, Dunbar attraversa la storia dell’uomo, partendo dalle origini, ovvero andando alla ricerca del frangente in cui l’uomo moderno potrebbe aver sviluppato un pensiero religioso, il che è necessariamente accaduto dopo la nascita del linguaggio e di una conseguente struttura cognitiva in grado di sviluppare complesse capacità di mentalizzazione. Si sofferma sul graduale passaggio dalla fase animista dei primi cacciatori-raccoglitori a quella dottrinale (che si rivelerà legata alle migrazioni di massa che determinarono la nascita dell’agricoltura e delle prime civiltà storiche), cercando di rispondere a molte domande, alcune di natura evoluzionista, altre di natura esistenzialista: perché, per esempio, l’essere umano è incline al soprannaturale? Perché esistono così tante religioni? E perché la religione continua ad esistere?
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