Il baricentro della politica ma soprattutto dell’economia mondiale si sposta, il contesto delle relazioni internazionali sta mutando profondamente. Con la Cina prepotentemente protagonista nel sistema mondiale di scambi e l’arco Indo-Pacifico come cuore della nuova Anglosfera come area geopolitica. Un lucidissimo saggio, “Verso la fine del mondo” di Giulio Sapelli, interpreta i rapporti di forza tra il mondo occidentale da una parte, Cina, Russia e Iran dall’altra…
Indo-Pacifico che attribuisce una nuova importanza strategica all’Australia la quale, unitamente a Nuova Zelanda e isole Tonga, è il cuore della nuova “anglosfera”, che vede affiancate agli Usa e al Regno Unito le due medie potenze antipodali: la Nuova Zelanda che costituisce una base di profondità verso il Polo Sud, mentre l’Australia è l’antimurale contro la Cina. Un’area geopolitica su cui influisce anche il riarmo atomico del Giappone
Proprio ora che ci sarebbe bisogno di un protagonismo dei valori migliori che il mondo occidentale ha saputo produrre, l’Occidente si sente perduto e sotto attacco. Perché?
All’inizio del XXI secolo la Storia ha svoltato, ma l’Occidente ancora si rifiuta di ammetterlo e di adattarsi a questa nuova epoca storica. La quota occidentale dell’economia globale si riduce e continuerà a farlo. Il processo è ormai inarrestabile, perché sempre più nuove società imparano ed emulano le best practices dell’Occidente.
Nella fine della Guerra Fredda l’Occidente ha voluto vedere il trionfo indiscusso della sua supremazia. Sbagliando. Innanzitutto perché la vittoria non è imputabile a una supremazia reale dell’Occidente ma al collasso dell’economia sovietica, ovvero di uno stato che, mentre il suo nemico gongolava, si è pian piano ripreso fino a ritornare a occupare il posto che aveva come potenza mondiale. La fine della Guerra Fredda non è stato altro che la svolta verso una nuova fase storica. Un altro evento assolutamente sottovalutato dall’Occidente è stato l’entrata, nel 2001, della Cina nel WTO – World Trade Organization. L’ingresso di quasi un miliardo di lavoratori nel sistema mondiale di scambi avrebbe per forza di cose avuto come risultato una massiccia distruzione creativa e la perdita di molti posti di lavoro in Occidente.
Ripensare l’Occidente
I valori dell’Occidente di democrazia, libertà, diritti alla persona devono essere ridiscussi, ripensati e non certo rinunciati o dimenticati se davvero si vuole mantenere viva la speranza di un ritorno alla politica “buona” ma anche a una economia regolata e a una finanza che guardi alle comunità e non al profitto del singolo individuo. Molti gli interrogativi che il mondo occidentale e, in particolare, la “vecchia” Europa si pongono. Primo fra tutti: verso quali drammatici scenari stiamo andando?
Il mondo dei nostri giorni non può essere letto come un ritorno agli anni Venti e Trenta, con annesse argomentazioni su fascismi e deriva burocratica dell’Unione Sovietica. La fase storica che stiamo vivendo è, di fatto, analoga a quella di fine Ottocento – inizi Novecento. Circa centoventi anni fa la globalizzazione negli scambi commerciali raggiunse livelli analoghi agli attuali. In quel periodo la crisi dell’Impero ottomano preparò la crisi dell’Impero asburgico e di quello russo. A caratterizzare quella fase storica fu l’esaurirsi dei compromessi diplomatici, politicamente regolatori delle potenze europee. Alla guerra si arrivò da sonnanbuli, considerandola al massimo un piccolo incidente, che re e imperatori, tutti cugini tra loro, avrebbero sbrigato rapidamente, magari disciplinando anche un po’ i ceti popolari che avanzano troppe pretese.
Il periodo che va dalla fine della Guerra Fredda fino ai nostri giorni è un percorso caratterizzato, nella sua fase iniziale, da Stati Uniti che considerano superato ogni problema di leadership globale grazie alla finanza, a un ruolo non più militare ma da polizia planetaria, a istituzioni sovranazionali che sostituiscono la politica e a una Mosca che vede accompagnare la liquidazione del suo impero non da uno sforzo politico per integrare la società russa in quella europea, ma da una spoliazione, dal taglio sostanzialmente colonialistico, delle sue risorse. Pesa l’entrata della Cina nella storia del mondo ma il principale fattore di destabilizzazione della leadership unilaterale degli Stati Uniti è stato dopo il 1989 – 1991 (caduta del Muro di Berlino, scioglimento dell’Urss) ancora quello provocato dai movimenti interni al mondo islamico, che pesano sia direttamente in Europa (Bosnia, Cecenia, Turchia) sia grazie alla questione dello strategico approvvigionamento di risorse energetiche. A questa crisi statunitense va aggiunta poi quella europea.
Giulio Sapelli nel suo saggio Verso la fine del mondo (144 pagine, 18 euro), pubblicato da Guerini e Associati, sottolinea quanto gli Usa non sanno più a che santo votarsi ora che l’acume e il buon senso e la capacità diplomatica li hanno completamente abbandonati. E come noi, cittadini di uno dei tanti e diversi stati del continente europeo che li abbiamo seguito con disciplina, subiamo la stessa sorte.
Tre tipi di rivoluzioni silenziose
Tre diverse tipologie di rivoluzioni silenziose hanno determinato e al contempo spiegano lo straordinario successo di molte società non occidentali.
La prima rivoluzione è politica. Per millenni, le società asiatiche sono state profondamente feudali. La ribellione contro ogni genere di mentalità feudale che ha preso impulso a partire dalla seconda metà del XX secolo è stata enormemente liberatoria per tutte le società asiatiche. Milioni di persone hanno smesso di sentirsi spettatori passivi e si sono trasformati in agenti attivi del cambiamento, evidente nelle società che hanno accettato forme democratiche di governo (India, Giappone, Corea del Sud, Sri Lanka), ma anche in società non democratiche (Cina, Birmania, Bangladesh, Pakistan, Filippine), che lentamente e costantemente stanno progredendo. E diversi paesi africani e latino-americani guardano ai successi asiatici. La seconda rivoluzione è psicologica. Gli abitanti del resto del mondo si stanno liberando dall’idea di essere passeggeri impotenti di una vita governata dal “fato”, per giungere alla convinzione di poter assumere il controllo delle proprie esistenze e produrre razionalmente risultati migliori. La terza rivoluzione è avvenuta nel campo delle capacità di governo. Cinquanta anni fa, pochi governi asiatici credevano che una buona governance razionale potesse trasformare le loro società. Oggi questa è la convinzione prevalente. Gli asiatici hanno appreso dall’Occidente le virtù della governance razionale, eppure mentre i livelli di fiducia asiatici stanno risalendo molti occidentali stanno invece perdendo la fiducia nei loro governi.
L’America ha costruito il più grande ceto medio che il mondo abbia mai conosciuto e lo hanno fatto gli stessi americani, con il duro lavoro e il supporto di politiche governative volte a creare maggiori opportunità per milioni di persone. Ma ora tutta questa gente è, giustamente, preoccupata. Preoccupata e arrabbiata. Lo è perché, nonostante si ammazzi di lavoro, non vede praticamente crescere il proprio reddito. L’attuale situazione sta impoverendo sempre più il ceto medio e distruggendo la democrazia. Una condizione che risulta essere molto simile a quanto sta accadendo in altri paesi occidentali, Italia compresa. Per Mahbubani queste sono tra le principali cause per cui si è arrivati all’elezione di Trump a Presidente degli Stati Uniti d’America (primo mandato) e alla Brexit. Le classi lavoratrici hanno percepito e subito direttamente ciò che le classi dirigenti e politiche non sono riuscite o non hanno voluto captare per tempo. Il Nord globale sta assumendo alcuni dei tratti un tempo caratteristici del “Terzo Mondo”, come la crescente diversità interna, la conflittualità su base etnica e razziale, l’aumento di povertà e disuguaglianza, la crescita degli insediamenti informali e di una gioventù sotto-proletarizzata. Molte caratteristiche della modernità africana sembrano investire progressivamente il resto il mondo: crescita di un’economia neoliberista accompagnata da un forte aumento della disuguaglianza, insorgenza di pandemie e catastrofi naturali che talvolta stimolano il sorgere di movimenti di resistenza popolare, concezioni innovative della democrazia che si ispirano a strutture di politica partecipativa del passato. Come hanno ben compreso molti investitori internazionali, non da ultimi i cinesi, l’Africa è entrata in una fase totalmente nuova in cui lo sviluppo dei suoi mercati sta aprendo enormi possibilità economiche. Ma questa trasformazione continua a essere percepita da molti come una mera imitazione di sviluppo occidentale. Liberandosi di questa prospettiva ottocentesca, si scopre invece che i fenomeni osservabili in Africa sembrerebbero addirittura anticipare e non seguire taluni processi che stanno investendo l’Europa e il Nordamerica.
L’Europa destinata a soccombere
Può un sistema istituzionale come quello europeo, fondato sull’euro e sullo stop al debito, sopravvivere alla guerra che lo ha investito in pieno? No, non può. La vicenda energetica, la quale altro non è che una destrutturazione delle relazioni di potenza, dimostra, per Giulio Sapelli, che l’Europa è destinata a soccombere. A Washington lo hanno capito benissimo, e infatti con la guerra in Ucraina ottengono ora due obiettivi: la distruzione del capitalismo tedesco e la rottura tra economia tedesca e imperialismo cinese. Ovviamente la distruzione di potenza trascinerà con sé l’economia italiana del Nord, da La Spezia a Rimini, che è legata a doppio filo a quella tedesca, così da destrutturare l’Europa, oggi che la sfida si gioca altrove, nell’Indo-Pacifico contro la Cina, e là vanno investite le risorse di potenza.
La guerra di aggressione imperialistica e imperiale della Russia all’Ucraina è giunta rapidamente al suo esito che già si manifestava sin dall’inizio, dopo le guerre siriane e mesopotamiche. La Turchia, nell’agosto 2022, ha riconosciuto la Crimea come entità storica costitutiva della nazione ucraina, scardinando tutta la costruzione neo-imperiale russa che aveva posto le basi ideologiche della guerra di aggressione. Fallito il tentativo di rivitalizzare l’ala anti-islamista dell’armata turca e della sua intelligentsija, fallito Gülen e il colpo di stato, non rimaneva agli Usa che ricercare l’alleanza con la Turchia, accarezzandone i disegni neoimperiali. Le guerre libiche e siriane erano fatte apposta per consentire la realizzazione di un nuovo genocidio turco, ora nei confronti dei curdi, dando a esso addirittura una rilevanza internazionale con l’annessione della Svezia e della Finlandia alla Nato, del resto preparata da anni e anni. Fermare il rischio di escalation sarebbe possibile solo con un sussulto di realismo, con Kiev che rinuncia alla Crimea e al Donbass, ma non se ne vedono i presupposti. Si è davanti a due ideologie “risorgimentali” contrapposte: gli ucraini si considerano giustamente ucraini; i russi, invece, li considerano russi. Mosca non accetta che l’Ucraina sia separata dal nouyi mir, dal mondo russo. L’errore di Kiev è sempre stato quello di escludere l’ipotesi di un’Ucraina neutrale tra Occidente e Russia.
Tuttavia, la situazione si complicò perché non solo gli Usa intendevano mortificare la Russia, ma anche la Cina, unico possibile soggetto di mediazione, mentre gli Stati Uniti non hanno mai voluto che la guerra finisse. Ne avevano e ne hanno bisogno per continuare ad avere un’influenza forte in Europa e mettere in crisi la Germania.
Una delle possibili vie d’uscita dal conflitto è trasformare la competizione militare in competizione economica grazie all’azione diplomatica congiunta dei “Paesi latini” europei: Spagna, Portogallo che, insieme alla Germania, trovino un accordo per controbilanciare gli Usa, che vogliono la guerra intermittente, per destabilizzare i Balcani e la Russia. L’Italia resterebbe fuori da questo gruppo di lavoro perché condizionata da esponenti politici locali troppo subalterni agli americani.
Guardare il mondo dal Giappone e dall’Indo-Pacifico consente di comprendere profondamente la nuova era che si apre dinanzi a noi. Il contesto delle relazioni internazionali sta mutando profondamente. Come la trasformazione della stessa Nato e delle sue direttive strategiche, con la penetrazione internazionale sia nell’arco baltico sia in quello Indo-Pacifico che attribuisce una nuova importanza strategica all’Australia la quale, unitamente a Nuova Zelanda e isole Tonga, è il cuore della nuova “anglosfera”, che vede affiancate agli Usa e al Regno Unito le due medie potenze antipodali: la Nuova Zelanda che costituisce una base di profondità verso il Polo Sud, mentre l’Australia è l’antimurale contro la Cina. Un’area geopolitica su cui influisce anche il riarmo atomico del Giappone che va così verso la rinuncia alla totale supplenza nordamericana e si propone di fiancheggiare gli Usa e l’Australia con forze militari proprie.
La “Nuova Via del Cotone”, un progetto di corridoio economico tra India, Medio oriente ed Europa, annunciato a New Delhi nel corso dei lavori del G20, veniva presentato come l’alternativa alla Via della Seta cinese. Il memorandum d’intesa fu firmato tra Stati Uniti, India, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Germania, Francia, Italia e Unione Europea. Un disegno per il cui sviluppo la non conflittualità cooperativa tra Israele e i Paesi arabi era essenziale. Un disegno che vedeva nella cooperazione tra gli Usa e l’Unione Europea la possibilità di competere con la Cina e così di contrastare l’enorme sfera di influenza raggiunta da Pechino nei paesi in via di sviluppo con il suo progetto infrastrutturale della Nuova Via della Seta.
Dopo aver creato il forum I2U2 nell’ottobre 2021, Israele India Usa Emirati Arabi Uniti hanno intrapreso importanti percorsi di cooperazione sui temi delle risorse idriche, energia e trasporti, spazio, salute e sicurezza alimentare. Viene così a comporsi un quadro più ampio in cui collocare il progetto di Washington di potenziare il prolungamento di potenza del Quad, accordo che unisce Australia India Giappone e Stati Uniti, sempre diretto a contenere in forma competitiva la crescente influenza cinese nel Pacifico. Prolungamento che si sostanziava, nel settembre 2023, dell’acquisizione del porto di Haifa con un partner israeliano locale, così da rafforzare le rotte commerciali con i porti indiani e incrementare i rapporti tra Europa e Grande Medio Oriente. Ma questo prolungamento di potenza inusitato non poteva non provocare una risposta delle potenze ostili a questo disegno: Cina Turchia Russia Iran.
Una nuova via del Cotone anti-cinese
Si mette così in moto un processo già visto nel tempo che precedette la Prima guerra mondiale, quando lo zarismo utlizzò i nazionalismi balcanici per contrastare sia l’influenza ottomana nei Balcani, sia quella austriaca e franco-tedesca. Ancora una volta il rapporto tra grandi potenze e nazionalismi in armi: i nazionalismi aggressivi armati e terroristici di massa divengono lo strumento idoneo per condizionare – con l’emergere delle piccole e medie potenze – il più grande gioco delle relazioni internazionali. Oggi un meccanismo simile si ripropone nel Medio Oriente, dove i nazionalismi palestinesi sono sempre crescenti e sempre più influenzati dal terrorismo islamico fondamentalista.
Lo Stato ebraico avrebbe dovuto divenire il centro di una Nuova Via del Cotone in funzione anti-cinese. Per distruggere questa nuova articolazione del plesso del potere mondiale del Grande medio Oriente si è sviluppato l’attacco iraniano-saudita-terroristico di Hamas a Israele.
Gli occidentali sembrano essere diventati dipendenti dalle news, prestando attenzione solamente agli eventi e non ai trend. La Malaysia, per esempio, è un paese raccontato dai media occidentali soprattutto o prevalentemente attraverso “news” tragiche (faide e scandali politici, attentati e disastri aerei, scandali finanziari, assassini e via discorrendo). Il risultato è che poche persone si rendono conto che, in termini di sviluppo umano, la Malaysia è uno dei paesi di maggior successo nel mondo in via di sviluppo. Il suo tasso di povertà è sceso dal 51.2% del 1958 all’1.7% del 2012.6 La tante volte ideologicamente negata competizione tra nazioni passa anche e soprattutto attraverso la comunicazione, l’informazione, l’immagine che viene data del paese opposto o concorrente. Una comunicazione distorta che non si ferma neanche davanti a difficoltà e malattie.
«Rileggete le gazzette moderne e postmoderne e scoprirete che pare sia la Germania la fonte di un focolaio da coronavirus ben più potente di quanto si pensasse. Eppure nulla si disse per giorni. L’Italia, invece, si configura nel landscape simbolico mondiale come l’untore del mondo terracqueo.»
La caducità di una ragione illuministica
E che dire allora della Cina? Cosa sappiamo di ciò che veramente accade ed è accaduto nell’Impero di Mezzo?
La Cina appare a molti osservatori nazionali e internazionali come una nazione che esce vittoriosa dalla crisi pandemica. I dati che furono diffusi sul prodotto interno lordo mondiale sembravano nel 2020 confermare questa convinzione. Molti osservatori internazionali gioivano leggendo che il Pil cinese aumentava dell’1%, non leggendo nulla di ciò che di interessante si può e si poteva leggere nel mondo su questo tema.
Dopo la svolta teorizzata da una moltitudine di studiosi sia civili sia militari, si assiste oggi a una sorda battaglia scatenata dall’esercito. Esso ha presidiato la nazione durante la pandemia. E forte di questo torna a levarsi contro il predominio economico e burocratico della marina e dell’aviazione, per così ritornare al potere che deteneva quando la politica estera era difensiva e anti-russa e anti-indiana e comportava quindi guerre di terra a differenza della Via della Seta tutta fondata sul dominio dei mari, come documentano le violazioni del diritto marittimo nei Mari della Cina del Sud e nell’Oceano Indiano. Quell’1% di Pil era di “trascinamento” in una nazione che prima saliva del 6%.
«Il coronavirus, se guardiamo a questo pericolo terribile per la salute umana in questo inusitato contesto, può contenere in sé una virtù e questa virtù è quella dell’umiltà: l’umiltà di riconoscere che la crescita inarrestabile della globalizzazione finanziaria e della Cina – che è a essa intimamente legata – possono entrambe subite una battuta d’arresto.»
Sottolinea Giulio Sapelli quanto il crollo dell’economia mondiale si stia rapidamente avvicinando, conseguenza di ben tre crisi exogene, una all’altra susseguente: pandemia, aggressione imperialistica della Russia all’Ucraina, ferita genocidiaria nazionalistica palestino-islamico-fondamentalista inflitta a Israele.
L’evento pandemico e l’evento genocidiario richiamano entrambi alla consapevolezza della caducità – insieme alla vita mortale – di una ragione illuministica che voglia non solo curare sanitariamente il male, ma rispondere all’interrogativo tragico che da esso promana.
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