Il sogno americano infranto di un uomo che ha fondato la propria esistenza sulle bugie, con tutti anche con la ex moglie: è lei la sola a cui racconterà tutto, in una lunga lettera scritta dal carcere che costituisce “La confessione di Schroder” di Amity Gaige. Dopo la fine del loro matrimonio, lui aveva rapito la figlia, vivendo assieme a lei un viaggio on the road…
La stella polare è Dostoevskij, lo Stepan Trofimovič de I Demoni, quando dice: «Amico mio, la verità autentica è sempre inverosimile. Per rendere la verità più verosimile, bisogna assolutamente mescolarvi un po’ di menzogna». La letteratura non sa che farsene della verità, preferisce gli impostori, prospera grazie ai bugiardi – al loro potere creativo, alla loro ambiguità – e alle menzogne, alle loro conseguenze tragiche, comiche o tragicomiche, o anche solo a omissioni modeste, minime deviazioni, leggeri aggiustamenti della realtà. Basterebbe interpellare Pinocchio, Gulliver, Robinson Crusoe. L’inganno – ma anche il paradosso di quei bugiardi che dicono la verità – è il combustibile di alcune delle perle letterarie di tutti i tempi: dalla Commedia dantesca a Jane Eyre di Charlotte Bronte, da Ulisse, progenitore dei mentitori, a tanti personaggi di Shakespeare, fino a Espiazione di McEwan e a Bugiarda di Ayelet Gundar-Goshen (ne abbiamo scritto qui). Giusto per scriverne un bignami approssimativo.
Io, l’altro
La premessa è doverosa, anzi s’impone dinanzi a un’opera come La confessione di Schroder di Amity Gaige (classe 1972, quattro romanzi pubblicati tra il 2005 e il 2020), finita fuori catalogo da Einaudi e che è di nuovo in libreria grazie a NN editore e alla traduzione firmata da Laura Noulian. Si tratta di un romanzo di successo, pubblicato negli States nel 2013, con contratti per la traduzione in quindici lingue firmati prima che finisse in libreria, con elogi di Jennifer Egan e Jonathan Franzen. Un riscontro meritato, tutt’altro che casuale, per un’autrice fra le più interessanti della sua generazione, che s’impossessa dello sguardo e dei pensieri di un uomo – Amity Gaige fa un lavoro pazzesco di introspezione – che ha nascosto per tutta la vita le proprie origini e che lo confessa alla moglie Laura in una lunga lettera scritta dal carcere: fin dalla più tenera età, per essere accettato, aveva deciso di stravolgere la propria vita, di cambiare connotati anagrafici e mettersi alle spalle origini che non riteneva all’altezza dell’american dream o anche solo della quotidianità a stelle e strisce. Era nato così Eric Kennedy, generalità che dovevano camuffare quelle reali, Erik Schroder, e i natali nella Germania dell’est, la fuga dalla Ddr insieme al padre, oltre il muro di Berlino, l’arrivo oltreoceano, in una cittadina del Massachusetts.
On the road al nord
È un libro che risuona di segreti e spazi oscuri dell’anima, quello di Amity Gaige, autrice che riesce a coinvolgere con una scrittura di pochi fronzoli. La confessione del suo protagonista è la naturale conseguenza di errori e dolori, di decisioni sbagliate, l’ultima della serie iniziata con l’idea, lasciata aleggiare e mai smentita, di una lontana parentela con il presidente statunitense ucciso a Dallas: l’ultima scelta storta è una fuga disperata con la figlia di sei anni, Meadow, che non cede quanto vorrebbe, rapita quando è in corso la causa per l’affidamento, con cui inizia il più classico dei viaggi on the road negli stati del nord, avvicinando anche il confine con il Canada. Un rapporto alla pari, quello fra padre e figlia, perspicace, indipendente, quasi un’altra protagonista, più matura della sua età. Il sogno americano dell’uomo, la volontà lunga decenni di integrarsi in un mondo che tende a escludere, inizia a finire con gli scricchiolii del suo matrimonio e dalla prigione finalmente riesce a raccontare tutto. È dalla parte sbagliata, con tutto quel castello di menzogne affastellate, eppure trasmette empatia, il lettore potrebbe in qualche modo trovarsi a parteggiare per lui (come per tanti bugiardi della letteratura universale). E per conoscere il destino di quest’impostore bisognerà arrivare fino in fondo.
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