La scomparsa della madre è il motore immobile del nuovo libro di Paolo Sortino, “Demone custode”, volume autobiografico nella misura in cui «ogni autobiografia è immaginaria». Tra una riflessione consapevole sulla vita e sulla morte, una sostanziale estraneità ai riti dell’editoria, l’autore, figlio e genitore, scrive da una terra di nessuno…
Ci sono collane storiche, e però statiche, che non sono più progetti, che non hanno linfa e slancio, vivono di gloria passata e riflessa, e si trascinano stancamente. E poi ci sono collane che sono corpi vivi e palpitanti, cangianti, in evoluzione. Orazio Labbate che, come scrittore, nasceva figlio di una collana nel suo piccolo mitica, quella diretta da Vanni Santoni per l’editore Tunué, e che poi in prima persona si era cimentato come editor per Centauria – per un periodo troppo breve – con la complicità e la benedizione di Polidoro, una delle sigle più vivaci e originali del panorama nazionale, ha avuto la possibilità di continuare il lavoro, lanciando una collana a sua immagine e somiglianza, per qualità e sensibilità letteraria, per esplorazione del perturbante. “Interzona”, smaccato omaggio a Pasto nudo di William Burroughs, è una collana di narrativa italiana che ha messo insieme voci di valore, non convenzionali, da Gianluca Barbera (ne abbiamo scritto qui) a Hilary Tiscione, da Franca Cavagnoli (qui l’articolo) a, di recente, Paolo Sortino, stanato proprio da Orazio Labbate, a quasi dieci anni dalla pubblicazione del precedente volume, Liberal per il Saggiatore, e a tredici da Elisabeth, “caso” pubblicato da Einaudi, quando non aveva ancora trent’anni e che aveva ottenuto consensi unanimi della critica. Quella storia di abissi, resa in una lingua cesellata come poche, ha segnato gli anni successivi di Paolo Sortino che da allora ha deciso, evidentemente, di non indossare i panni che taluni si aspettavano da lui, proseguendo una ricerca letteraria autonoma (è sempre viva «la speranza di vita che mi dà la letteratura»), con una sostanziale estraneità rispetto a consuetudini, convenzioni, devozioni, tempi di natura editoriale.
Solo alcuni di voi, per la verità, sono in grado di scrivere e dio mio, quante e che meravigliose emozioni ho provato leggendo i libri di questi. A pubblicare, invece, siete bravi tutti.
Sempre colmo di dignità, Paolo Sortino, refrattario ai copioni già scritti e a varie forme di potere, caratteristiche che si ritrovano nell’io narrante del suo nuovo libro, chiuso il quale emerge fortissimo il senso di gratitudine per avere ritrovato uno scrittore, che come pochi sa interrogarsi sulla vita e sulla morte.
… che la morte faceva parte della vita. Sbagliavamo di poco: la vita fa parte della morte. Non c’è che la morte. La morte è in tutto e non fa male.
Monologo consapevole
Ha camminato altrove, Paolo Sortino, romano di stanza a Napoli. E, nella misura in cui «ogni autobiografia è immaginaria», e «sublimare» e «trasfigurare» siano parole d’ordine, ha fatto i conti con i giorni trascorsi, irripetibili, e con quelli del presente, con una morte e una nascita che l’hanno riguardato: la sua morte come figlio («Siamo figli per troppo tempo»), dopo la scomparsa della madre, e la sua nascita come padre, dopo che è venuta al mondo la figlia Fiammetta. È un ininterrotto monologo, non pessimista ma di estrema consapevolezza («Di veramente autentico c’è poco, pochissimo. Forse solo la morte»), quello che si legge nel suo terzo libro, Demone custode (123 pagine, 15 euro). La morte della madre è un motore immobile, accende parole, frasi, capitoli, soprattutto pensieri magari non scolpiti nella lingua perfetta di un tempo, ma più immediata.
Mia madre non mi ha dato alcune educazione. Si è limitata ad amarmi. L’amore che ha provato per me è stata la sola scuola. […] Nel giardino di mia madre sono stato la rosa più bella. Ora che il giardiniere non c’è più, finisce la gentilezza delle potature. […] Mia madre ha fatto di me un individuo, un essere adulto, la massima espressione della sua opera, che è la mia autonomia. E ora? […] Mia madre è morta e avrebbe dovuto farlo molto tempo fa. Mia madre è morta ed ora comincia l’avventura. Il brivido che dà l’orfanezza non ha eguali.
Al confine o all’opposto
Scrive di piacere e di desiderio, di ricchezza e povertà, Paolo Sortino, di tradimenti degli ideali, dell’amore adulto per la moglie Alessandra, in questo libro che è un miracolo piccolo solo per le dimensioni del volume. E scrive di una terra di nessuno dove si muove la sua diversità, uno stare al confine o all’opposto di quel che va per la maggiore, inclassificabile, non collocabile.
Ho sempre coltivato la mia diversità ma non rivendicandola mai, neppure adesso. […] Sono sempre stato mezzo etero e mezzo frocio, mai uno dei due completamente. Non ha mai avuto senso per me rinunciare a quella zona in cui il mio essere è e si esprime senza bisogno di regole.
Troppo legato ai diritti civili e sociali per piacere alla destra, troppo libero in ogni direzione per piacere alla sinistra.
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