Viaggiare, peregrinare, per diventare grandi. Andare lontano per tornare all’origine. La parabola della quarantenne Maria – alter ego dell’autrice – nel nuovo romanzo di Cristina Pacinotti, “Il vero senso dei suoi passi incerti”, continua quella tracciata nel precedente libro, “Non ancora”: domina una tensione verso la felicità, non come un traguardo da raggiungere, ma come percorso da vivere
Viaggiare, allontanarsi, tornare e ripartire nuovamente. Procedere passo dopo passo, talvolta indugiando, altre volte avanzando spediti, alla ricerca di una nuova direzione, di un’identità da definire, di un luogo in cui sentirsi finalmente sé stessi. Di questo e di altro peregrinare racconta Il vero senso dei suoi passi incerti (224 pagine, 18 euro), il nuovo romanzo di Cristina Pacinotti, pubblicato da Morellini.
Ancora una volta, l’autrice torna a scrivere di Maria, suo alter ego letterario e già protagonista di Non ancora (qui l’articolo), edito nel 2022 da Fandango. Dopo aver raccontato la giovinezza e gli anni di formazione a Parigi, segnati dal clima culturale di fine anni Ottanta, l’autrice affronta ora una fase cruciale della vita di ognuno: l’ingresso definitivo nell’età adulta.
Un amore breve e un figlio
Nel 1995, alla vigilia dei suoi quarant’anni, Maria è la mamma di Andrea, un bimbo di quattro anni frutto di un amore breve e ormai concluso con Sandro. La storia inizia l’ultimo dell’anno, quando, dopo una serata tutt’altro che memorabile, un pensiero comincia a farsi strada nella sua mente: la tentazione di partire per l’India. Un desiderio incerto, come sempre, giacché in lei “i forse e i quasi erano sempre in agguato”. Maria si chiede cosa fare “da grande” e avverte l’urgenza di trovare un’identità; smettere di essere un po’ danzatrice, un po’ insegnante di yoga, un po’ agente immobiliare, per scoprire il suo ruolo e il suo posto nel mondo. Così decide di lasciare la casa sul fiume, che aveva sperato sarebbe stato il suo nido, e che ora le appare “come un amore scelto male”, per intraprendere un viaggio di scoperta.
Prende avvio così un girovagare che si trasforma in quello che lei definisce “un tempo gentile, un tempo d’attesa”, uno spazio sospeso che le consente di osservare il mondo con occhi nuovi, di costruire una complicità profonda con Andrea, al suo primo sguardo sulla vita, e di scoprire qualcosa in più su se stessa. Insieme attraversano l’India – ashram, comunità, guest house, spiagge – in un viaggio che li immerge in una realtà ricca di contraddizioni. Durante un lungo tragitto in treno, mentre passano da una tappa all’altra, osserveranno un’antologia vivente del paese che, come il viaggio di Chihiro in La città incantata di Hayao Miyazaki, svela uno sguardo intimo su se stessi e su un luogo misterioso dalle infinite sfumature. Il loro è un incontro diretto con una realtà in cui Maria, suo malgrado, vede mescolarsi ideali spirituali a una “religiosità mainstream”, assistendo a un’occidentalizzazione della cultura orientale che sembra celare bisogni tutt’altro che genuini, ma trovando al contempo anche spazi autentici.
Tra i molti incontri che segneranno il viaggio, ci sarà anche quello con Enrico, giovane uomo italiano anch’egli in cammino, nel quale Andrea riconoscerà la figura del principe Eric della fiaba La Sirenetta di Hans Christian Andersen. Più volte trovato, perduto e ritrovato durante i due mesi di permanenza, Enrico sarà per Maria la rappresentazione del suo bisogno d’amore, nonché un desiderato antidoto alla solitudine.
L’India e una veggente
Segnata da dubbi, incertezze, bisogni e desideri, Maria in India si confronterà con le sue emozioni, determinata a proseguire un percorso per trovare “il vero senso del cammino” e forse anche il suo daemon, ovvero quella che i greci ritenevano essere la vera essenza dell’individuo. Complice il dialogo con una veggente, capirà che il primo passo per risolvere il conflitto sarà quello di scegliere tra libertà e convenzioni, per accettare anche che l’India, in fondo, è solo il preludio necessario a una scelta definitiva.
In questo paese, “sintesi del mondo”, dove globalizzazione e spiritualità si mescolano, e dove, parafrasando D’Arrigo, “la natura è natura”, Maria troverà il coraggio di tornare per poi ripartire.
Rientrata a Pisa, sua città d’origine, avverte che la provincia e il quotidiano non sono altro che il confine da attraversare. E così, dopo una breve convivenza con il passato, con la famiglia, con i vecchi amici e le vecchie abitudini, Maria riprenderà il suo cammino, spinta da un insegnamento acquisito in India: “Non esiste colpa, o meglio, ce n’è una sola: le azioni mancate”. Visiterà eco-villaggi, comunità rurali, centri naturalistici nel centro Italia e in Irlanda, nei quali si scontrerà con alcune contraddizioni, uguali e contrarie, rispetto a quelle sperimentate in Oriente. Conoscerà un’umanità ideologizzata, politicamente o religiosamente, goffa e grossolana, e finirà per capire che l’unica strada da seguire sarà quella che lei stessa dovrà tracciare. Sarà poi un incontro immaginato, atteso e sperato a darle la forza di intravederla e, finalmente, percorrerla.
Il vero senso dei suoi passi incerti è un romanzo che celebra, nel suo profondo, il viaggio di auto-scoperta che è rappresentato dalla crescita. Se nel precedente Non Ancora, Maria sperimentava la ricerca dell’amore tout court, dell’amore passionale, qui si trova invece ad affrontare il confine delicato e spesso doloroso dell’età adulta: la maternità, il confronto con le proprie scelte e la necessità di definire una nuova identità. Tra le pieghe di un’esistenza in evoluzione, Maria cerca una coerenza che nasce dall’interno, un desiderio di autodeterminazione che si fa strada tra dubbi e certezze, tra viaggi fisici e interiori. La sua è una tensione verso la felicità, non come un traguardo da raggiungere, ma come un percorso da vivere, anche quando la strada sembra incerta. In questo romanzo, il viaggio diventa simbolo del cammino verso la comprensione di sé e del mondo che ci circonda, suggerendo che, in fin dei conti, “Il vero senso è quello che ti dai”.
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