Il privatissimo carteggio fra James Joyce e la fidanzata, poi musa e moglie, Nora Barnacle è un inno alla sessualità spinta e liberatoria, ben oltre allusioni e doppi sensi che costarono la censura per il capolavoro “Ulyssess”. “Le lettere a Nora” raccontano una vita e una relazione senza belletti, tra scorribande romantiche, vicissitudini editoriali e desideri carnali…
Nessun tabù nel cassetto, in letteratura e nella vita, ancor più più nella vita, per uno degli scrittori più influenti di sempre. Il poco più che centenario Ulyssess di James Joyce, pubblicato in volume nel 1922 a Parigi da Shakespeare and Company, fu osteggiato e censurato in origine, perché ritenuto, di volta in volta, osceno, scandaloso, indecente e pornografico. Bruscamente interrotto già quando, grazie a Ezra Pound che lo mitigava un po’, usciva a puntate in una rivista americana, tra il 1918 e il 1920. Nel capolavoro di Joyce non c’è nulla che oggi non sia stato metabolizzato da tempo, non c’è assolutamente sesso esplicito (il tradimento di Molly Bloom con Blazes Boylan è solo richiamato in una lettera), ma un secolo fa, tra fantasie amorose, voyeurismo e autoerotismo, doppi sensi e allusioni, lingerie e postriboli, l’autore irlandese e il suo Leopold Bloom erano risultati indigesti. Soprattutto in patria, dove arrivò clandestinamente solo nel 1966.
Quasi vent’anni di missive
Libertà e tenerezza, passione ed erotismo, senza alcun freno inibitorio, in vent’anni scarsi di lettere a Nora Barnacle, l’affascinante cameriera che sarebbe diventata sua musa e moglie, precedono proprio la pubblicazione del capolavoro. Vanno dal 1904 al 1922 le lettere curate, introdotte e tradotte da Andrea Carloni, che si possono leggere in un bel volume pubblicato da Alter Ego edizioni, Le lettere a Nora (173 pagine, 17 euro). Jim, così si firmava quasi sempre in questa fitta corrispondenza, celebrò la data del loro primo appuntamento, il 16 giugno 1904, utilizzandola proprio come unità temporale del suo libro più famoso. È un epistolario – ottima selezione di quello complessivo fra i due – che nulla lascia all’immaginazione, quello che adesso è stato tradotto integralmente per la prima volta in italiano, e che contiene passaggi e frasi che si ritrovano nelle opere di Joyce, pilastro del modernismo, tra i più importanti autori di sempre. Coppia straordinaria, eppure comunissima, James Joyce e sua moglie Nora, che si sarebbero sposati solo nel 1931 e, lasciata Dublino («è una città detestabile e la gente per me è la più ripugnante»), vissero fra l’Italia, principalmente Trieste, Parigi e Zurigo, in Svizzera durante i conflitti mondiali e alla fine dei loro giorni.
Scopasserotta non andare via…
Scrive la vita senza belletti, James Joyce. Scrive di debiti e pagamenti, di delusioni e di malattie, di spasmodici attacchi di gelosia, James Joyce, alla donna che ama: «Sei stata per la mia giovane virilità ciò che l’idea della Beata Vergine è stata per la mia infanzia». E le manda baci «Non sulle labbra». E poi, in queste dirty letters, non lesina un diluvio di tormenti, rimproveri, ripicche, richieste di perdono, consigli sulla biancheria intima, bruciando di desiderio («per ogni centimetro del tuo corpo, per ogni sua parte segreta e vergognosa, per ogni suo odore e azione»), concedendosi di scriverle fantasie erotiche con il linguaggio più crudo e pornografico che potesse saltar fuori dal petto di un «eccessivo amante» irlandese e abituale frequentatore di bordelli (la donna aveva probabilmente dato il via libera a queste lettere più spinte, nella speranza che lo distraessero dalla ricerca di sesso mercenario in occasione di un raro ritorno a Dublino). I congedi dei messaggi inviati alla sua «scopasserotta» (così Carloni traduce l’originale «little fuckbird») sono sempre niente male. Jim arriva a scrivere: «Quando tornerai di nuovo lascia i bronci a casa – pure i corsetti». E ancora: «Addio, cara mia che cerco di degradare e depravare. Per Dio com’è possibile che tu ami uno come me?».
Il soggetto dei suoi desideri
Appassionato e senza freni James Joyce alterna slanci e sensi di colpa, madre religiosa, padre anticlericale, educato dai gesuiti, per la Chiesa e per i suoi precetti provava attrazione e repulsione. Un’oscillazione che balza agli occhi su altri fronti, a cominciare da quello della relazione, colma di sentimento e attrazione con la donna della sua vita.
Ah, non la lussuria, carissima, non la follia selvaggia e brutale con cui ti ho scritto in questi ultimi giorni e notti, non il desiderio da bestia selvaggia per il tuo corpo, carissima, sono ciò che mi ha attirato a te allora e mi tiene a te adesso. No, carissima, niente di tutto ciò se non un tenerissimo, devoto, pietoso amore per la tua giovinezza, la tua fanciullezza e la tua debolezza. Oh il dolce dolore che hai portato nel mio cuore! Oh il mistero di cui mi parla la tua voce!
Scorribande su sentieri romantici prontamente dimenticate già nelle lettere immediatamente successive,giocosamente irrefrenabili e liberatorie, in cui rincara le dosi di passione e volgarità; la futura moglie, soggetto dei desideri del suo «Cristiano Fratello di lussuria», lo asseconda, emancipata e viscerale. Un uomo e una donna affamati di libertà, modernamente consapevoli della vita con i suoi sentimenti, profondi e audaci, senza inibizioni, che vivono l’amore come un gioco tenero e passionale. Due figure abbastanza fuori dal tempo in cui vissero, anticonvenzionali e anticonformiste. Non fa letteratura James Joyce in questo epistolario, ma la sua volontà e il suo sguardo d’artista sono già abbondantemente messi a fuoco, esplora la propria creatività, con tanto di ambizioni e vicissitudini editoriali, e con richieste di pareri a Nora sulle opere che scriveva. Una presenza, quella della donna, cruciale anche nelle fasi della scrittura: finirà per farsi influenzare dalla scrittura di lei (sono pochissime le lettere di lei presenti in questa raccolta), un flusso di coscienza ante-litteram.
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