Un affresco di vita quotidiana della Messina di inizio ‘900, marchiata dal terribile terremoto del 1908, nel romanzo di Elena Magnani, “Mare avvelenato – La saga della famiglia Mazzeo”. Due esistenze, quelle di Tomaso e Petra, distanti, se non fosse per un fatale contatto, bruscamente interrotto dal disastro naturale. Dinanzi a soprusi, fame, prevaricazioni e superstizione un solo sentimento sembra rappresentare un rimedio…
Le storie raccontateci dai nonni scavano un solco profondo nel nostro cuore e col tempo diventano talmente nostre da potersi permettere persino il lusso di cadere nell’oblio, come se non le ricordassimo più, superate, come frettolosamente ci appaiono, dagli eventi ultimi che ci impegnano giorno dopo giorno, in una vita sempre più frenetica.
Un’illusione, la nostra, perché quell’imprinting non si cancella e, come d’incanto, basta poco per avere di nuovo quei racconti davanti a noi, vividi ed immutati, forse persino accompagnati dalle voci di chi, con amore, ce li tramandò, aiutandoci a capire.
E poco importa se sarà un gesto, un’espressione o, perché no, il colore del mare, e se volete la quiete confortante della montagna o il caldo abbraccio di un profumo a farli riaffiorare con la stessa potenza con la quale li abbiamo assimilati da piccoli. Quel che ci serve sapere è che quei racconti non hanno mai smesso di essere parte di noi e, forse, noi siamo diventati quel che siamo grazie anche a loro.
I racconti dei nonni… messinesi
Elena Magnani, nata all’ombra della Lanterna e da anni residente in Garfagnana, non avrebbe alcunché da spartire con la città dello Stretto, se non fosse per quei racconti dei nonni messinesi, che, buon per noi, l’hanno incoraggiata a pubblicare con Giunti questo suo ultimo romanzo intitolato Mare avvelenato – La saga della famiglia Mazzeo (352 pagine, 15,90 euro)
La storia narrata in questo suo ultimo lavoro è, dunque, sorretta dalle basi solide ed al tempo stesso impegnative di una storia vera, che l’autrice, senza tralasciare una puntuale ricostruzione dei fatti, ha utilizzato come punto di partenza per offrirci un affresco di vita quotidiana della Messina di inizio Novecento.
Tomaso e Petra
Sullo sfondo del tragico terremoto del 1908, ci sono, da un lato la famiglia Mazzeo e Tomaso, in particolare, e dall’altro i marchesi Badastrello e la loro Petra. Con loro, altri personaggi, alcuni dei quali senza volto, che tra le macerie del terremoto e ancor prima tra quelle ben più dolorose provocate da esistenze a dir poco complicate, si muovono nella speranza di un riscatto che, purtroppo, non sempre viene loro concesso.
Tomaso, marchiato a vita dalla maledizione della levatrice che alla nascita lo definisce spirito tintu (cattivo, malvagio, in siciliano) si porta addosso la diceria di essere un fascinatore, capace di piegare sensi e spirito di chi incontra e per di più avverte sopra di sé l’onere di dover riportare la propria famiglia a quella agiatezza persa del tutto dopo l’assassinio del padre e dello zio. Questo scopo lo tormenta e lo impegna al punto da renderlo incapace di discernere il bene dal male e di farlo precipitare in un vortice di imbrogli e crimini molto più grande di lui.
Su ben altri binari scorre la vita di Petra. Lei, che dopo la morte della madre ha trovato casa dai marchesi Badastrello, è una donna moderna ed impegnata, che lavora e studia le teorie di Maria Montessori e, senza remore, si spinge spesso a parlare di diritti condivisi ed inalienabili, soprattutto e non solo dei bambini.
Due esistenze che niente avrebbero da spartire, se non fosse per un fatale contatto, che però viene bruscamente interrotto dal sisma, latore di morte e dolore, povertà e fame e, come sempre avviene, di ulteriore violenza. Come se non bastasse quella che già c’è.
Il terremoto
Con la sua capacità distruttiva che spiazza e lascia sgomenti, il terremoto traccia, anche nel romanzo di Elena Magnani (già autrice de La segnatrice, ne abbiamo scritto qui), una linea ben definita e lancia nuove sfide a persone già provate dalla vita, perché è tutto in salita l’agire quotidiano delle donne, degli uomini e ovviamente dei bambini di questo racconto. Nella visione nitida e coerente di Elena Magnani, che sa ben calare il suo romanzo nella cronaca di quei tempi, sono la fame e la superstizione, entrambe figlie della più nera povertà, che dettano bisogni e regole, impongono scelte e tracciano percorsi privi di qualsiasi riferimento. Tutto, poi, sembra essere null’altro che conseguenza di questo, ma come nelle vicende attuali che ci avvolgono ogni giorno, sono le donne e gli uomini capaci di guardare oltre ad alzare un argine contro la violenza, la prevaricazione, il sopruso. Lo fanno affidandosi all’amore, unico rimedio possibile che, se ci pensate bene, ci riporta proprio lì, ai racconti dei nonni. Il cerchio si chiude, come sempre.
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