Il Maghreb di Maupassant tra religione e colonialismo

Il resoconto di alcune visite oltremare di Guy de Maupassant, che ebbero riverberi nella sua produzione narrativa: costituisce un libro piccolo e prezioso, “Viaggio in Tunisia”. Non un semplice viaggiatore, lo scrittore francese, ma un acuto osservatore, interessato all’Islam e alle conseguenze del dominio francese nell’Africa nordoccidentale…

L’inquietudine e la salute malferma portarono Guy de Maupassant a viaggiare molto negli ultimi anni di vita, in cerca di riposo. Morì il 6 luglio 1893, un mese prima di compiere quarantatré anni, l’autore di Bel-Ami e di alcuni fra i maggiori racconti di tutti i tempi, perdita incalcolabile per l’umanità, la sua vita breve. Poesie, opere teatrali, epistolari si accostano al corpus maggiore delle sue opere. E non bisogna dimenticare anche alcuni diari di viaggio, quello in Sicilia, per esempio, e quello nel Maghreb (visitato in tre distinte occasioni, nel 1881 come reporter, poi un paio di mesi alla fine del 1888), che con una delle sue azioni spericolate e preziose la casa editrice Abbot ha portato in libreria, in una collana di piccoli grandi testi, Eccezioni.

Algeri islamica, Tunisi ebraica

Di notte la città araba di Algeri è animatissima. Quando scende la sera Tunisi è morta.

Viaggio in Tunisia (101 pagine, 10 euro), tradotto da Marta Paris, raccoglie tre pezzi di Maupassant, non un semplice diario di bordo su luoghi che in precedenza erano stati battuti anche da Flaubert (maestro e amico di Maupassant) e Gide, ma a tutti gli effetti l’opera di un acuto osservatore e narratore, che ha riverberi in più di un racconto e anche nel romanzo Bel-Ami. Nel breve ed efficacissimo ritratto che Guy de Maupassant fa di Algeri, in apertura di volume, è la dimensione religiosa, musulmana, a colpirlo («Nessun’altra religione è stata mai così incarnata in un essere umano»), ma anche la condizione della donna («Dio è troppo lontano, troppo elevato, troppo elevato per loro»). Più ci si addentra in questo testo piccolo e prezioso, più la sensazione è che lo scrittore francese, fotografando territori così complessi già più di un secolo fa, non si abbandoni mai del tutto alla realtà e nemmeno alla finzione. Modernissimo anche in questo. Tunisi, visitata dalle principali strade al manicomio, è «sorprendente e seducente», circondata da resti e rovine di varie città morte, risalenti all’antichità, ma anche da immondizia, cloache, aria avvelenata da miasmi. Ma soprattutto Tunisi è «uno dei rari posti nel mondo in cui l’ebreo sembra a casa sua come se avesse una patria».

Conquiste della madrepatria e… conseguenze

È un volume di incontri, di brulicante umanità e spettacoli della natura, di danze del ventre e di souk, di pastori che suonano flauti e di case di tolleranza, L’itinerario di un vagabondaggio perenne viene disegnato con maestria da un affascinato Maupassant, la cui tappa conclusiva è la città di Kairouan, con la moschea Djama-Kebir, «bella di una bellezza inspiegabile e selvaggia».

Al mondo conosco solo tre edifici religiosi che mi abbiano dato la stessa emozione inattesa e folgorante di questo monumento barbaro e sorprendente: Mont-Saint-Michel, San Marco a Venezia e la Cappella Palatina a Palermo.

Sono anche scritti politici, questi reportage maghrebini di un curioso Maupassant, affascinato dalla cultura locale e da quello che ai suoi occhi è esotismo puro. Proprio nel diciannovesimo secolo Algeria e Tunisia erano state conquistate dalla Francia, diventando a tutti gli effetti colonie. E non è possibile chiudere gli occhi e ignorare quel che è successo, con un giudizio che non è prioritario nell’economia dei reportage, forse non è così netto ed esplicito, ma è certamente critico nei confronti della madrepatria, e delle conseguenze del sistema coloniale sul piano sociale ed economico di quei territori. La casa editrice Abbot conferma la vocazione alla qualità: pochi preziosi titoli, riscoperte di libri dimenticati o piccoli contributi di grandi autori.

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