Enrico Brizzi ferma il tempo e ritrova la voce, come fosse ieri…

Il vecchio Alex e l’incantevole Aidi, Enrico Brizzi riparte dove tutto finiva, con la dolce nostalgia di un’attesa lunga trent’anni. “Due” è il sequel di “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”, una nuvola inconfondibile di suoni e slang. Strapazzato dall’anno più intenso della sua vita, Alex trova rifugio nella scrittura, sollevato dal poter ricostruire le due vite che il tempo non avrebbe corrotto se fossero state di carta

E così il vecchio Alex è tornato. Due (320 pagine, 19 euro), pubblicato da Harper Collins è l’atteso “secondo capitolo” di Jack Frusciante è uscito dal gruppo, un romanzo da tanti considerato “mitologico”: letto, riletto, finito anche nelle antologie scolastiche, lui che della scuola proprio bene non parlava. Era il libro che lanciò il giovanissimo Enrico Brizzi sulla scena della nuova narrativa italiana nel 1994: la storia del liceale Alex, del suo amico Martino, della bella Adelaide detta Aidi. Una delle letture che, di generazione in generazione, hanno battezzato tanti lettori di Brizzi. Ma forse sarebbe più corretto dire tanti lettori e basta, talmente era ed è ancora trascinante, sorprendente e bella quella storia, e il modo in cui viene raccontata.

Nel tempo dell’attesa

Alla luce dei fatti, questa di Enrico Brizzi si presentava come un’operazione delicata: nei trent’anni trascorsi dall’uscita, e considerato il successo di quella prima storia, in tanti si erano chiesti se, quando, e come un seguito alle attese-sospese di Alex e Aidi avrebbe mai preso vita. Questo ritorno arriva forse inaspettato per gli adolescenti che hanno conosciuto Alex mentre erano suoi coetanei, oggi ormai grandi, ma certo carico di aspettative. Se la paura della delusione accompagna la lettura, va detto però che l’emozione è fortissima, ed Enrico Brizzi lo sa – e lo condivide – fin dall’incipit che, letteralmente, afferra gli occhi, la testa, rapisce tutti i sensi e fa la magia. Perché la voce, il tono, il linguaggio e l’atmosfera sono esattamente “quelli là”. Basta una pagina per poter affermare con sicurezza “Alex è tornato”. Una certezza così evidente è un gancio potentissimo per entrare in una nuova storia che è il racconto di un anno, l’ultimo anno di liceo del “nostro”.

Aidi è partita per gli States, il diciassettenne che abbiamo conosciuto e visto trasformarsi in Jack Frusciante è alle soglie di un’estate che lo cambierà ulteriormente, mentre l’anno scolastico passa e segna il tempo che manca al ritorno di quella ragazza speciale che nessun’altra può rimpiazzare. C’è l’adolescenza, c’è un’attesa, quella da cui scaturisce quel “ma quindi come va a finire?” su cui ogni lettore ha indugiato una volta arrivato al fondo dell’esordio di Enrico Brizzi. C’è una linea d’ombra, un’altra, più sfumata del passaggio cui avevamo assistito nel primo romanzo, ma che si fa presenza ingombrante mentre scorrono le pagine e le vicende di Alex e di Aidi. Ha a che fare con la gestione di un tempo sospeso che sembra infinito, con il vivere il presente, con l’aspettativa che si spalanca oltre il portone della scuola e l’atterraggio di quell’aereo che terrà distante per dodici lune la persona più importante di tutte. Troppo per due adolescenti che si sono fatti una promessa, e che in quest’anno trascorso tra le montagne russe attraverseranno le alterne fasi di un fondamentale tirocinio di vita.

Il caleidoscopio della voce

Si cresce, e così fa il narratore, pronto a seguire le pedine dei suoi eroi in un campo di battaglia articolato, confuso come solo nell’adolescenza, contraddittorio eppure in qualche modo pronto a sbocciare con i germogli della vita che arriverà. La crescita si sente: quella dell’autore che i personaggi li ha inventati, e che ora gioca a immaginare un seguito della storia, ma anche quella dei protagonisti, che seguono la loro rotta, e si spezzettano, si ricompongono, semplicemente vivono, mentre il lettore li osserva evolversi.

La novità è che in questa seconda avventura le voci si articolano: c’è il narratore sconosciuto già noto, sempre agile e onnisciente, c’è ancora il diario magnetico di Alex D, proprio come alle origini. Ma c’è anche Aidi: le sue lettere dall’America sono un po’ diario un po’ veri messaggi per Alex. Non arrivano via mail: sono cartacee, vergate a inchiostro, hanno attraversato fisicamente l’oceano: oggi sembra davvero roba dell’altro mondo. Le lettere permettono di entrare nei pensieri di una ragazza che si trova letteralmente dall’altra parte del globo, e come tale è spaventata, a volte esaltata, deve imparare a vivere da sola a chilometri da casa, con la mancanza feroce di Alex e un orizzonte da colmare mentre il presente bussa alla porta senza aspettare.

La delicatezza della voce di Aidi, tra scoperte, ma anche strazio adolescenziale e tanta confusione, si alterna al caleidoscopio scoppiettante della lingua del narratore e dello stesso protagonista maschile, uno slang inconfondibile. È una macedonia intrisa di parole della Bologna anni Novanta, di musica e dei suoi riferimenti, naturalmente in musicassetta, di poeti, scrittori, romanzi, refrain scolastici masticati e usati come colla per tenere insieme il mondo in costruzione dei protagonisti, tra soprannomi e un ritmo narrativo che incalza. È la colonna sonora di Jack Frusciante, una nuvola di suoni, linguaggio e parole, inconfondibile, parte integrante del senso della storia e del suo carattere, sia del primo intramontabile capitolo che di questo secondo.

Un tuffo negli anni Novanta

Se un prodigio questo romanzo arrivato trent’anni dopo il primo riesce a farlo, è proprio quello di fermare il tempo e spostare lo sguardo alle origini. Gli anni Novanta rivivono quasi come per magia sulla pagina, incantesimo della narrativa, frutto della grande abilità di un Brizzi che, romanzo dopo romanzo, si conferma cantastorie incredibilmente sicuro dei suoi mezzi linguistici e al contempo padre dei suoi personaggi, che lascia vivere sulla scena, ma non perde mai di vista, ammiccando anche un po’ al lettore. I suoi elementi vincenti sono semplici, proprio come nelle saghe che tengono tutti compatti intorno al fuoco in attesa del finale: sono profondi gli interrogativi, dolorose le cadute e gli errori, ma intensamente umani gli eroi che, ostacolo dopo ostacolo, insistono sui metaforici pedali delle loro biciclette per conquistare nuove salite.

La bici, qui, c’è davvero, destriero indefesso di un quasi ex diciassettenne in procinto di partire per il suo primo – leggendario – interrail in Europa. E c’è la musica: non potrebbe essere altrimenti per il solito adolescente e la sua band da cantina, che come tutti i sogni adolescenziali dovrà fare i conti con il tempo che passa, le scelte – o quello che semplicemente capita – e la linea d’ombra che simbolicamente aspetta dietro il traguardo della maturità. C’è la famiglia anni Novanta, con i suoi soprannomi cari ai lettori di Enrico Brizzi, e così la scuola, il Liceo Caimani, con i suoi professori ottusi e quelli giovani, matrioske di studenti che furono. C’è un universo che, nel tritacarne social del 2024, rivive con una nitidezza che quel 1992, tempo della storia, lo fa sembrare concluso ieri. Se dietro queste quinte teatrali si adombra un po’ di malinconia da lettore “vintage”, è tuttavia sicuro che il ritmo della narrazione e le sue vibrazioni universali richiameranno l’attenzione anche delle generazioni nate oltre il Duemila.

Nel dubbio, scrivere

Dagli anni Novanta, però, arriva anche una pista importante, cioè la spinta alla scrittura che passa la palla da una pagina molto simile a quella autobiografica dell’autore alla vita di Alex, in un cortocircuito che si raddoppia e fa sorridere gli aficionados di Enrico Brizzi. Strapazzato dall’anno più intenso della sua vita, Alex trova rifugio nella scrittura, ci si tuffa, senza domandarsi troppo il perché, ma sollevato dal poter ricostruire le due vite che il tempo non avrebbe corrotto né cambiato se fossero state di carta.

E così si assiste a un’ipotetica nascita del tanto noto Jack Frusciante nelle parole di inchiostro, sul quaderno di un novello diciottenne che sta imparando la vita. Il finale, però, non riesce a trovarlo. Tra un sorriso divertito, una sensazione di complicità e molto affetto, sarà il lettore ad arrivare alla conclusione, nella dolce nostalgia di un’attesa durata trent’anni. Anni durante i quali, volente o nolente, autore e lettore sono cresciuti, cambiati, e sono oggi un po’ più adulti e attrezzati di quei giovani sotto ai quali bruciava il fuoco creativo dell’adolescenza. Maturi, forse, o semplicemente – felicemente? – consapevoli che basta una manciata di parole per riavvolgere il nastro e ritrovarsi con grande sorpresa proprio là, in una libreria, magari sotto le due Torri, dove tutto finiva e dove ora è ricominciato come fosse ieri.

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