I “sette libri per l’autunno” di… Giovanni Turi

Non classici imprescindibili, ma alcuni importanti romanzi che vale la pena segnalare. Ecco i sette suggerimenti di Giovanni Turi, direttore di TerraRossa edizioni, scelte di grande originalità tra grandi nomi stranieri e autori italiani che non passano inosservati. Una nuova puntata della nostra rubrica più amata (qui tutte le puntate precedenti)

Vorrei consigliare dei romanzi importanti che non siano i classici che ho molto amato, nei quali mi auguro ogni lettore prima o poi si imbatta a prescindere dai miei suggerimenti (come 2666 di Bolaño, Austerlitz di Sebald, Bestiario di Cortázar, Cecità di Saramago, Fisica della malinconia di Gospodinov, Furore di Steinbeck, Horcynus orca di D’Arrigo, Il male oscuro di Berto, Il racconto dell’Ancella di Atwood, La campana di vetro di Plath, La pelle di Malaparte, La peste di Camus, L’arte della gioia di Sapienza, La vita agra di Bianciardi, Manhattan Transfer di Dos Passos, Mentre morivo di Faulkner, Montauk di Frisch, Nemesi di Roth, Requiem per un sogno di Selby Jr., Seminario sulla gioventù di Busi, Sopra eroi e tombe di Sábato, Spiegazione degli uccelli di Lobo Antunes, ecc.). E dunque:

“37.2 al mattino” di Philippe Djian (Voland), traduzione di Daniele Petruccioli

Un impercettibile piano inclinato in cui il tono scanzonato e irriverente diventa via via disperato: è la storia di una coppia dalla vita randagia, in cui a un certo punto l’amore non è più in grado di arginare gli squilibri. Immaginate sovrapporsi lo sguardo scostumato di Bukowski, quello ficcante di Houellebecq e quello lieve e malinconico di Kerouac e avrete un’idea di cosa è stato capace di scrivere Djian.

Djian

“Archivio dei bambini perduti” di Valeria Luiselli (La nuova frontiera), traduzione di Tommaso Pincio

La narratrice è in viaggio con la figlia di cinque anni, il compagno e il figlio decenne di lui verso i luoghi della resistenza degli ultimi Apache, ma a tormentarla sono soprattutto la fine della loro relazione e la cronaca di migliaia di bambini giunti clandestinamente negli Stati Uniti e generalmente respinti alla frontiera con il Messico o destinati a morire di stenti nel deserto. L’autrice riesce così a sovrapporre dimensione civile e intima, mentre la narrazione procede per brevi capitoli e intermezzi con un efficace cambio di prospettiva nella seconda metà.

Archivio

“Ieri” di Ágota Kristóf (Einaudi), traduzione di Marco Lodoli

Con una prosa crudele e asciutta, il protagonista ci racconta la sua alienazione di rifugiato e operaio, il suo amore disperato per la sorellastra, la lotta incessante contro i propri demoni e il tentativo di farne scrittura. Racconto denso, duro e levigato come un sasso.

Ieri

“Il giardino delle mosche” di Andrea Tarabbia (Ponte alle Grazie)

Tarabbia narra in questo romanzo-biografia la vita di Andrej Čicatilo, colpevole di 56 orribili omicidi tra il 1978 e il 1990, e sceglie di far esser lui il narratore: non vi sono dunque in queste pagine né condanna, né assoluzione, né macabro compiacimento, ma la limpida esplorazione di una psiche ordinaria e turbata insieme, mossa da desiderio di rivalsa ed estremismo ideologico, Un’opera tesa e angosciante che si legge con il respiro strozzato e un montante senso di nausea.

giardino

“La donna che scriveva racconti” di Lucia Berlin (Bollati Boringhieri), traduzione di Federica Aceto

Sono quasi tutti racconti in prima persona che traggono ispirazione dalla travagliata esistenza dell’autrice. Lucia Berlin, al pari di Raymond Carver, Alice Munro o Amy Hempel, sa raffigurare con poche parole la parabola di un’intera esistenza o anche solo alcuni momenti epifanici, ma in più non cela una delicata empatia verso i suoi personaggi, così fragili e simili a lei.

Berlin

 

“Piove all’insù” di Luca Rastello (Bollati Boringhieri)

Un romanzo costruito di frames in successione non cronologica che si compongono in un affresco dei turbolenti anni ’70 in Italia e della formazione politica e sentimentale del narratore: diviso tra due donne che se ne spartiscono senza inibizione le attenzioni, smarrito in una sinistra attraversata da spinte contrastanti, in perenne conflitto con i genitori senza mai essere andato a fondo nel loro rapporto. Rastello cita nomi, date, episodi della storia nazionale senza comprimere l’intimità di un singolo vissuto e raggiungendo (nell’ultimo terzo soprattutto) apici di autenticità e dolore.

Rastello

“Works” di Vitaliano Trevisan (Einaudi Stile libero)

Un romanzo-memoir dalla scrittura mirabilmente torrenziale ma sorvegliata in cui l’autore ripercorre il proprio percorso accidentato sia come scrittore sia nel mondo del lavoro, smantellando ogni retorica ed esibendo le endemiche ipocrisie della nostra società, abituata alle raccomandazioni, al lavoro nero, all’indifferenza.

works

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