Lispector 2 anni a Berna, membrana sensibile alla sua infelicità

I tormenti e l’assenza di tensione vissuti da Clarice Lispector nella capitale svizzera – luogo silenzioso e spento – sono diventati “Città senza demoni”, romanzo di Roberto Francavilla, il miglior autore possibile di questa storia, visto che tanti libri di Lispector ha tradotto. Un viaggio nel mondo complesso della scrittrice, spaesata, malinconica e piena di nostalgia per il suo Brasile…

Un primo romanzo che racconta una scrittrice in un periodo particolare della sua storia, dandole voce, entrandole nei pensieri. È questa la nervatura di Città senza demoni (160 pagine, 17 euro), pubblicato da Feltrinelli, che vede per la prima volta nei panni di autore Roberto Francavilla, professore di Letteratura portoghese e brasiliana all’università di Genova, ma soprattutto traduttore italiano di Clarice Lispector.

Una città senza luce

È di lei che il romanzo parla, con un narratore onnisciente che la conosce bene. Francavilla sceglie una parentesi particolare della biografia di Lispector per sondare il pensiero della scrittrice e darne voce. Lo fa con competenza e occupandosi di un personaggio difficile: una donna, una scrittrice, una delle più note autrici brasiliane del Novecento.

Al centro del racconto dei due anni che Clarice Lispector passa a Berna, in Svizzera, col marito diplomatico, c’è il rovello di una scrittrice che deve addomesticare la malinconia e confrontarsi con una geografia che non le parla, e con se stessa. Berna è la città senza demoni del titolo: un luogo in cui la scrittrice brasiliana non sente tensioni, dove l’opacità ricopre tutto di una patina stanca, immobile. In questa vicenda Berna è al centro, ma è solo lo sfondo, una scusa per affacciarsi al mondo di Lispector. La città è una superficie sulla quale scorrono alti e bassi, personaggi, momenti, piccoli fatti, episodi domestici e fatterelli mondani, persino visite dallo psicanalista. È come se la città, non per il fatto di essere Berna, ma poiché si presenta con le insidie di “città silenziosa e spenta”, inchiodasse la protagonista davanti ai suoi interrogativi.

Nel mondo di Clarice Lispector

Protagonista di questa storia, Lispector vive l’arrivo in Svizzera come se il soggiorno dovesse essere momentaneo, e si trova invece avvolta in due anni di rovelli. È in cerca di demoni, Clarice, ma sono i suoi, non quelli di Berna: le geografie della mente la riportano altrove nello spazio e nel tempo, a dialogo con una malinconia e con una memoria che la pungono ricordandole il Brasile, l’infanzia, lo strappo da cui ha origine la sua esistenza lontana dall’Europa. Spaesata fuori e dentro di sé, Lispector trasforma involontariamente Berna in una membrana sensibile alla sua infelicità, dove le ombre si fanno spazio, ottundendo tutto come un paesaggio innevato che parla una lingua sconosciuta.

Clarice è a Berna, ma la sua testa altrove: Francavilla segue questa pista fatta di tensioni che la scrittrice porta dentro di sé, un mondo che non ha confini definiti, ma che ricerca la tempesta per sentire il movimento. Il traduttore entra con competenza tra i demoni, sulle soglie, nell’opacità che porta Lispector a interrogarsi su di sé, e conseguentemente sulla propria scrittura, sulle incertezze che cercano un contrappasso nella geografia di Berna, desolata. Nei pensieri, dove si consumano le domande di questa giovane donna, Francavilla è a suo agio e da qui accompagna il lettore in due anni di vita densissimi, seppure apparentemente statici.

Eredità della traduzione

Tradurre è la via più profonda per leggere un libro, per avvicinarsi al mondo e ai pensieri dell’autore entrando dentro la sua lingua e imparando a conoscerne la scrittura. Solo il traduttore di Lispector avrebbe infatti probabilmente potuto scrivere un romanzo come Città senza demoni, e scivolare agilmente nel mondo complesso di Lispector restituendolo in forma narrativa con una lingua e con immagini così affilate. È un romanzo, questo, ma è pieno della biografia della scrittrice, cucita insieme a una prosa che suona come il suo mondo mentale, riflesso di parole lette, analizzate, studiate, introiettate. Partire dalle parole e immaginare un romanzo: Lispector lo fa con le “parole mozze” che le vengono incontro e le permettono di sondare la realtà, ritrovare la luce nell’opacità degli anni bernesi. È la ricerca di una scrittrice nella lingua e dentro se stessa, in mezzo a una città apatica. Ma dentro Città senza demoni diventa la meccanica esplicitata di uno straordinario viaggio nei pensieri della scrittrice, raccontata dal migliore autore possibile per questa storia.

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