Il rispetto per la natura, il valore delle radici, la morte, le religioni sono i temi chiave del debutto di Wanda Luban, “Gli artigli di Dio”, romanzo in cui a parlare in prima persona è una tigre, e c’è di mezzo Da, una bimba miope. Il risultato? Un viaggio quasi onirico tra verità e immaginazione
«Non essere nata animale è la mia più segreta nostalgia», scrive Clarice Lispector in Acqua Viva. E lo scrive Wanda Luban nel suo profilo Instagram, riportando la citazione della famosa autrice ucraina naturalizzata brasiliana.
Chissà allora se questo sentimento sia celato anche nello spirito della Luban e riesca in un certo qual modo ad estrinsecarsi attraverso il suo romanzo d’esordio Gli artigli di Dio (232 pagine, 18 euro) – pubblicato da Alter Ego edizioni – in cui a parlare in prima persona non è l’autrice (o in realtà si?) ma una tigre siberiana.
Un viaggio onirico
Se la realtà non basta o non si vuole accettare interviene la fantasia. Così Da, una bambina miope, evoca Surava, una tigre che la aiuterà a colmare il suo desiderio di scoprire l’origine delle cose. Il risultato sarà un viaggio quasi onirico tra verità e immaginazione, epifanie simboliche e reminiscenze trascendentali.
La tigre Surava viaggia tra gli spiriti permettendo alla narrazione di fare balzi temporali e al lettore di viaggiare nel tempo, conoscendo il passato dei personaggi che spesso si mescola allegoricamente alla Storia, alla natura e gli animali, sempre presenti nella narrazione.
Tutto inizia in Svizzera ma grazie alla fantasia di Da e ai poteri della tigre toccherà vari punti, reali o fantastici non importa, il viaggio vale il prezzo del biglietto.
Le ricordai che sua nonna diceva spesso che un ottimo modo per avere una vita avventurosa è quello di non vedere dove vai.
Una realtà permeabile
Da oggettivamente non vede bene le cose del mondo reale a causa della sua miopia ma non lo accetta come un limite. Del resto chi stabilisce quali siano le cose importanti da vedere? Sarà anche vero che non distingue chiaramente alcuni dettagli concreti ma lei è l’unica a vedere qualcosa che nessun altro riesce a vedere. Una tigre, vi sembra poco?
Così quello che apparentemente è un limite si trasforma in una possibilità.
Da sapeva che la terra è una zona liminare e che i confini sono permeabili.
Per eliminare questi confini bisogna abbandonarsi e credere. L’importanza dell’origine delle cose, tanto rilevante per Da quanto dimenticata dalla maggior parte delle persone ancorate al presente tangibile, riguarda vari campi, che sono poi i temi chiave del racconto: il rispetto per la natura, il valore delle radici, la morte, le religioni. In un perfetto connubio di spiritualità e sacralità che abbraccia e coinvolge varie tradizioni europee.
Le lenti giuste
La tigr… cioè la Luban sembra giocare con gli stili, passa da una solennità riservata a fatti evocativi storici ad una ironia presente in cui si rivolge direttamente al lettore: parlandogli in prima persona e ponendogli persino degli interrogativi, non lo accompagna nella narrazione ma lo fa sentire parte integrante di essa.
Anche lo stile di Wanda Luban è degno di un felino: un’impronta riconoscibile piena di personalità che lascia il segno già dalle primissime pagine.
Le parole sono intenzioni.
E quelle della Luban riescono bene nel loro intento: ricreare una fiaba per adulti interattiva, dal forte impatto visivo. Le sue parole riescono a materializzare nella nostra mente l’immagine da lei evocata con un potere di fascinazione tale da porci sullo stesso piano di Da. Offrendoci uno spunto di immaginazione ci fornisce una lente attraverso la quale vedere meglio anche la realtà.
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