“Armand V.” è un romanzo non romanzo, un testo metanarrativo, complementare a “T. Singer”, in cui Dag Solstad, attraverso un personaggio in cui un po’ si camuffa, riflette sulla creazione letteraria, sulla propria produzione e sulla storia norvegese degli ultimi decenni, sulla sconfitta generazionale di chi era giovane negli anni Sessanta e Settanta…
«Le note a piè di pagina sono un’offesa all’estetica», si legge in un racconto lungo di J. D. Salinger. Chissà cosa avrebbe pensato il vecchio Jerry di questa sfida al romanzo e alla tradizione che è Armand V. Note a un romanzo non scritto (238 pagine, 18 euro) di Dag Solstad, tradotto da Maria Valeria D’Avino, pubblicato da Iperborea che ha da tempo lanciato in Italia il maggiore scrittore norvegese (c’è chi storcerà il naso pensando a Knausgård Karl Ove, fra l’altro anche lui ammiratore di Dag Solstad). Un non romanzo composto appunto da 99 note a piè di pagina, che rimandano a un’opera che… non c’è, il cosiddetto romanzo originario. È un libro di quasi vent’anni fa, ma che guarda al futuro. Pubblicato sette anni dopo T. Singer (ne abbiamo scritto qui), Armand V. può considerarsi un testo complementare, speculare, anch’esso metanarrativo. Con un’invenzione di fondo degna di Borges. Ma con un andamento in piena regola alla Dag Solstad, beffardo, sofisticato, talvolta illogico e tendente all’assurdo, magniloquente.
Scrivere un romanzo è ritrovarlo
L’asticella più in alto
Cosa si deduce dalle note? C’è un Armand abbastanza avanti negli anni, sul finire della sua carriera di abilissimo ambasciatore, con due matrimoni alle spalle, padre di due figli. E c’è un po’ dell’autore, che prova a camuffarsi. Non un personaggio in senso stretto, ma l’ombra del protagonista che popola le pagine, chissà forse neanche così protagonista nel romanzo non scritto. Dag Solstad dimostra sempre di riuscire a spostare più in alto l’asticella, ogni volta un po’ più su. E di riuscire a superarla, ancora…
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