Una riflessione sull’universo femminile, le pieghe oscure dell’esistenza in un romanzo di vecchio e nuovo realismo magico, “Ti ho dato gli occhi e hai guardato le tenebre” della catalana Irene Solà. Una festa funebre a cui partecipano i fantasmi delle donne di una stirpe maledetta, una matriarca che non ha esitato a sfidare il demonio…
La sorte maledetta di alcune donne, una discendenza marchiata dal diavolo in persona, le pieghe più oscure dell’esistenza, deformità fisiche, e poi una letteratura debitrice della tradizione orale, fra leggende, folklore, ricette, sprazzi di realismo magico all’antica e di quello, semplificando, più vivace e contemporaneo (la Mariana Enriquez che compare in quarta di copertina non può non essere un riferimento costante) nella conferma di un grande talento della letteratura spagnola, Irene Solà. Aveva lasciato il segno con il romanzo rivelazione Io canto e la montagna balla, pubblicato in Italia da Blackie edizioni, e torna con una nuova imperdibile opera, che Mondadori ha intercettato alla scorsa Buchmesse tra il Marquez postumo (ne abbiamo scritto qui) e il secondo romanzo di Tommy Orange (ne abbiamo scritto qui). La catalana Irene Solà non può non rifarsi al precedente libro di successo, ma senza ripetersi mai davvero. È più una festa di commiato che la vigilia di una veglia funebre quella che allestisce in un numero relativamente breve di pagine, che sono però densissime, in un tempo dilatato e in uno spazio circoscritto, quello di una fattoria, Mas Clavell, un casolare sui Pirenei (in una zona infestata da streghe, banditi, bestie…), e al cospetto di un tema sempreverde nell’ambito della letteratura mondiale, il patto col diavolo, che qui si manifesta spesso sotto forma d’animale, capra, gatto…
Al capezzale della morente…
Una stirpe al femminile – gli uomini sono evanescenti e periferici come poche volte capita di leggere, sempre in fuga, sempre in difetto – fa capolino dalle pagine di Ti ho dato gli occhi e hai guardato le tenebre (154 pagine, 18, 50 euro) di Irene Solà, tradotto da Amaranta Sbardella, romanzo polifonico, primitivo, prezioso. È tutto tetro, ma anche allegro, anche se in fondo è un’atmosfera di dolce crudeltà, cupa, a pervadere ogni angolo delle storie raccontate, a cominciare da quelle al capezzale della morente Bernardeta, veggente senza ciglia, la cui agonia va avanti per tutto il romanzo e accanto a cui siede il fantasma della madre Margarida, non il solo spettro pronto ad accogliere Bernadeta, con tanto di banchetto, avvio di un racconto lungo secoli, che si fa beffe del senso logico e cronologico. Vicende in cui non c’è salvezza, a partire da quella di Joana, la matriarca di una lunga generazione al femminile: il suo patto col diavolo in cambio di un marito non va per il verso giusto e a pagarne le conseguenze saranno tutte le sue discendenti, invisibili, ma vivissime, in grado ancora di amare, ma condannate, mancherà loro sempre qualcosa: c’è chi è nata senza lingua e senza voce, c’è chi con solo tre quarti di cuore, chi senza poter sentire dolore…
Coraggio e bellezza contro la violenza
È una lunga, attuale riflessione sul mondo delle donne, su quante si sentono incomplete per i motivi più disparati, eppure tutte portatrici di passione, coraggio e bellezza, al di là del dolore, al di là delle mancanze, vere o presunte, delle violenze subite. Irene Solà le racconta con trasporto, con poesia, maltrattandole e carezzandole, in capitoli che straripano di voci, colori, sapori, descrizioni crudissime, sesso sporco. L’autrice catalana è una voce non di sicuro avvenire, ma già di certo presente. Classe 1990, ha ancora tanto da dire e da dare…
Seguici su Instagram, Telegram, WhatsApp, Threads, YouTube Facebook e X. Grazie