Settantottenne, Ernst Jünger pubblicò “La fionda”, romanzo sui turbamenti di alcuni giovani trasferitisi dalla campagna alla città per studiare. In fondo un ritratto sorprendentemente empatico, quello del controverso dandy della letteratura tedesca, che mette in scena l’eterno tema del doppio: i protagonisti Clamor e Teo – opposti in tutto – sono due facce della medaglia della personalità dello scrittore…
Pensatore e scrittore tra i maggiori e più controversi del secolo breve, il dandy anti-liberale e cattivo del canone tedesco, Ernst Jünger – antimoderno e antirazionalista, borghese acerrimo nemico della borghesia e propugnatore di un eroico nichilismo, sperimentatore di Lsd, appassionato di decadentismo francese, eroe di guerra morto ultracentenario – scrisse di tutto, spesso con stile ricercato, testi autobiografici, trattati politici, di estrema destra, diari di guerra, gialli, racconti, romanzi di fantascienza e distopie. È nel catalogo delle edizioni Medhelan che è possibile pescare la prima traduzione italiana di uno dei suoi libri più importanti, scritto in età avanzata, pubblicato quando aveva 78 anni: La fionda (292 pagine, 26 euro), la cui versione italiana è firmata da Alessandra Iadicicco, autrice di una puntuale prefazione.
Affascinato dalla guerra, infine pacifista
Il meglio che si possa fare leggendo Ernst Jünger – molte opere sono state edite da Adelphi e Guanda – è separare opera e vita, sebbene spesso nell’opera si rifletta anche il peggio della vita: affascinato dai conflitti, idealizzati, spiritualizzati (ma ne combatté più di interiori…), tra le due guerre mondiali attaccò la Repubblica di Weimar e la democrazia, auspicò una dittatura, scrisse per testate di estrema destra e si avvicina a movimenti giovanili nazionalisti, pur non appoggiando mai direttamente il regime nazista e i suoi abominevoli crimini, disprezzando Hitler. Da accanito militarista, nel dopoguerra, iniziò a disegnare, lentamente, un autoritratto apolitico e pacifista. La fionda è un’incursione nella giovinezza, evidentemente lontana nel tempo, ma non dal punto di vista letterario. Ed è una variazione sul tema eterno del doppio, da apprezzare in tutte le sue sfumature, facendosi il regalo di leggerlo.
La nostra gang
Forse Ernst Jünger si rifà a certa tradizione tedesca di parecchi decenni prima (da Musil a Hesse), però i turbamenti – al tempo della Germania guglielmina – dello studente protagonista, non il solo protagonista a dire il vero, sono molto più moderni, anzi contemporanei. Le paure e le incertezze del maldestro Clamor Ebling, orfano che ama gli insetti e i romanzi d’avventura, trasferitosi dalla campagna alla città, sono complementari alla spavalderia e al carisma di Teo, che lo prende sotto la sua ala protettiva: vicini e opposti, una versione riveduta e corretta di Narciso e Boccadoro. Loro due, l’adolescente inadeguato e quello allergico a ogni autorità (facce della stessa medaglia chiamata Jünger), e un terzo ragazzo, il selvaggio Buz, proveniente come loro dallo stesso paesino di campagna, costituiscono una sorta di banda, che fa i conti con guai assortiti, che parla il dialetto incomprensibile della Bassa Sassonia ed è presa di mira dalla maggior parte degli insegnanti: solo con prove di coraggio e cameratismo proveranno a resistere a un ambiente ostile. Ernst Jünger dimostra di non arrivare fuori tempo massimo, raccontando una storia di gioventù – con tutto ciò che ne concerne, angosce, passioni, malinconie, scoperta della sessualità – con una certa empatia, guardando con un filo di indulgenza a quello che sembra un destino segnato per Clamor (troppo sensibile, preso in giro, bullizzato), quello del fallimento, che però, in qualche modo, viene ribaltato in un epilogo inaspettato…
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