Lee, tossicomane insicuro e insoddisfatto, si muove fra Città del Messico e Panama, provando a sedurre ragazzi e cercando una liana allucinogena. “Queer” di William Burroughs, colmo di ricordi e ossessioni è un campionario di desideri e visioni, di grottesche allucinazioni, un gran romanzo picaresco, senza gabbie romanzesche, una lezione di scrittura
Sarà necessario tornare al cinema. Arriveranno Limonov, basato sull’omonimo libro di Emmanuel Carrère, e addirittura Queer firmato dal regista palermitano Luca Guadagnino, che si confronta con un mostro sacro, visto che la pellicola è tratta dal secondo libro scritto dal geniale William Burroughs, scritto nei primi anni Cinquanta, ma pubblicato molto dopo, nel 1985. Una “glaciazione” dovuta anche a un elemento traumatico, al drammatico omicidio, compiuto dallo stesso Burroughs ubriaco, della moglie Joan. Una mossa, quella della pubblicazione, voluta dal più spregiudicato, controverso e intelligente degli agenti letterari, Andrew Wylie («seduttore di vedove» come lo definì una collega, poi socia, la fu Carmen Balcells; negli anni successivi lo Sciacallo fece molto di più, si pensi solo alla pubblicazione dell’embrionale L’originale di Laura di Nabokov), che negli ultimi anni di vita garantì a Burroughs tranquillità economica.
A caccia di una droga rivoluzionaria
Amare, viaggiare, essere liberi. Potrebbero essere questi i verbi chiave di Queer (205 pagine, 12 euro), ambientato fra Città del Messico e Panama (ribattezzate Interzona), breve romanzo che Adelphi rilancia in edizione economica, nella traduzione di Katia Bagnoli che risale al 1998, quando il volume era andato in libreria con il titolo Checca (ancora prima Sugarco l’aveva pubblicato come Diverso nel 1985). Tanto humour nero si agita nel cuore insicuro e insoddisfatto di Lee, alter ego di Burroughs, tossicomane che trascorre le giornate nei bar, che punta e corteggia il piuttosto impassibile e distaccato Allerton e poi, assieme a lui, va a caccia dello Yage, una liana allucinogena, da cui si estrae una droga capace di garantire il controllo totale delle menti altrui: una bomba niente male ai tempi della guerra fredda, che negli anni in cui il romanzo fu scritto era… caldissima. Lee è costretto a stare in Messico, probabilmente per qualche guaio commesso negli Usa, e lì si mette a caccia di ragazzi: Carl, Moor, qualche anonimo messicano, ma soprattutto Eugene Allerton, un passato nel controspionaggio in Germania durante la seconda guerra mondiale.
Uno scrittore contro, altro che beat…
Queer è un campionario di desideri e visioni, di grottesche allucinazioni. Tutto torna. Burroughs – il maestro del cut-up – è sempre contro il potere costituito, contro la disciplina, contro il significato a tutti i costi della scrittura, a favore del linguaggio e del sesso esplicito da affidare alle pagine. E con Queer scrive uno dei suoi migliori romanzi picareschi, carico di ricordi e ossessioni, senza rigide gabbie romanzesche, con una prosa irripetibile, che sembra procedere a scatti, sincopata e letale. Una lezione di scrittura che non ha mai smesso d’essere formulata, oltre le etichette e le classificazioni. Altro che beat (siamo varie spanne sopra gli amici e colleghi Ginsberg e Kerouac), siamo in presenza di uno scrittore come pochi proiettato nel futuro a ogni suo passo, mai da comparsa e sempre da protagonista.
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