Felicità e afflizione, sorriso e tormento nei capitoli brevi de “La luce difficile” di Tomás González. Un pittore ormai cieco scrive del suo passato familiare, della morte per eutanasia del suo primogenito che s’intreccia con la ricerca di un particolare, sfuggente, riflesso sulla tela. Un romanzo di sofferenza e quiete, rassegnazione e, comunque, ottimismo
Chi in Colombia metteva mano a una macchina da scrivere o mette mano al computer può fare a meno di pensare ossessivamente alla sterminata ombra di Gabriel Garcia Marquez? La storia ha dimostrato di sì, anche se gli esiti raramente hanno lasciato il segno. È possibile scrivere romanzi colombiani senza realismo magico o narcos? Certo, ma le possibilità di oltrepassare la frontiera si riducono moltissimo. Fra i pochi che ce l’hanno fatta davvero c’è Tomás González, che i lettori italiani hanno potuto scoprire qualche anno fa col suo romanzo d’esordio datato 1983, Prima c’era il mare, pubblicato da Gran Via edizioni. Un libro notevole, senza spaccati sociopolitici, lirico, di scrittura adamantina: una coppia che fugge dalla caotica Medellin in cerca di un eden, una storia dalle conseguenze drammatiche.
Una notte e un riflesso
Adesso è il tempo di un nuovo incontro con Tomás González nelle librerie italiane. È stato pubblicato il suo titolo più famoso, La luce difficile (144 pagine, 16 euro), tradotto da Lorenzo Rinaldi ed edito da la Nuova Frontiera, di cui abbiamo anticipato qui le prime pagine. Risale a tredici anni fa, ma è stato recentemente rilanciato in Europa, in particolare in Spagna. Ed è una fortuna. Un anziano colombiano, David, pittore, da poco vedovo della moglie Sara, tornato in patria, e ormai cieco ha smesso di dipingere, ma prova a scrivere, aiutato da una lente di ingrandimento. Con la scrittura torna a New York, a quasi vent’anni prima, a un episodio deflagrato nella sua vita e in quella dei familiari, la morte volontaria del maggiore dei suoi tre figli, Jacobo, paraplegico dopo un incidente automobilistico in cui lui era a bordo di un taxi. L’attesa di una notte, il desiderio di un ripensamento, il dolore sobrio, la ricerca di un particolare, sfuggente, riflesso sulla tela (da cui il titolo dell’opera), sull’ultima tela, e il convincimento che, in ultima analisi, la vita è comunque bella e vale la pena d’essere vissuta, come sintetizza l’ultima parola del romanzo, l’ultima dettata da David alla governante e confidente Angela: Maraviglioso!.
Le regole della vita
La sofferenza e la memoria, il tempo dilatato. Con i suoi brevi capitoli Tomás González scansa frasi fatte e dolori buoni per tutte le stagioni. «Per fortuna nessuno disse che la morte era stata la cosa migliore per lui», è una frase esemplare dell’andatura di questo romanzo, che invita a cercare la luce comunque, ad affrontare vita e morte, felicità e afflizione, sorriso e tormento. La vicenda narrata che ha riverberi all’infinito ridefinisce lo sguardo e i pensieri dei protagonisti, a cominciare da David, che vive la disperazione, la rassegnazione, e trova quiete, accetta le regole del gioco della vita, ora lenta ora rapida, ora compassata ora precipitosa.