Iva Pezuashvili, a day in the life (nella Georgia smarrita)

Iva Pezuashvili è uno dei nomi più importanti della letteratura georgiana e ne “La discarica” prende di petto le fragilità e gli smarrimenti della Georgia, non ancora ripresasi dal crollo dell’impero sovietico. Specchio della società è una famiglia immaginaria ma verosimile, ritratta in ventiquattro ore…

Il lungo choc del crollo dell’Urss non si è ancora concluso in Georgia, terra caucasica di mille storie e ancora più contraddizioni, che non è ancora riuscita a costruire le fondamenta del futuro, superando i guai di uno ieri già storico, metabolizzato dai libri forse, ma non ancora da chi ci vive e probabilmente nemmeno da chi costruisce anno dopo anni la letteratura di questo popolo. Negli ultimi anni un nome di sicuro avvenire, e già tangibile presente, è stato quello di Nino Haratischwili, scrittrice pubblicata in Italia da Marsilio e autrice dei fluviali L’ottava vita (per Brilka) e La luce che manca. Non è una bestemmia accostare al suo nome Iva Pezuashvili, classe 1990, che nel 2022 ha vinto il premio dell’Unione Europea per la Letteratura con La discarica (145 pagine, 18 euro), adesso lanciato dalla casa editrice Voland, con una traduzione d’autore, quella di Ruska Jorjoliani, di origine georgiana, cresciuta in Sicilia, e autrice a sua volta di La tua presenza è come una città (Corrimano) e Tre vivi, tre morti (ne abbiamo scritto qui), proprio per Voland. Nella sua nota conclusiva la traduttrice spiega proprio l’attuale condizione della Georgia, non solo letteraria, ritratta «nel suo trentennale sforzo di trovare una propria configurazione e un proprio posto nella carta fisica o metafisica del mondo»

Indolenza e incapacità, social e apparenze…

Il dito di Iva Pezuashvili è dunque puntato contro una Georgia indolente e incapace, che guarda all’Occidente con superficialità, scimmiottandolo, tra corruzione e capitalismo sui generis, social network e apparenze, sfiducia nelle istituzioni, specie da parte delle generazioni più giovani. Il 9 aprile 2017, unica giornata in cui si svolge il romanzo La discarica, è l’anniversario di una sommossa antisovietica repressa nel sangue, con un massacro di manifestanti. Ma è una notizia che, dopo pochi anni, non fa quasi più… notizia. Iva Pezuashvili presta attenzione a un’immaginaria ma più che verosimile famiglia della capitale Tbilisi: il padre, Gheno, è un relitto della storia, eroe nazionale (ha salvato la vita del presidente), che impiega buona parte della pensione nelle scommesse sportive sul basket americano; la madre, Mila, fa la parrucchiera, e pensa a un futuro senza il consorte che la trascura (c’è di mezzo Mamuka, un ricco che le fa la corte, «è davvero così galante come vuole apparire, o il suo obiettivo è piuttosto quello di avere Mila una sola volta e per un motivo ben preciso?»); la figlia Zema, che lavora in polizia, con grande professionalità, e combatte contro la burocrazia; il figlio Samvel-Lazare (era stato ribattezzato col secondo di questi nomi dopo che da bimbo, il padre l’aveva trovato cianotico e rianimato), che ama il rap e fa consegne a domicilio. Il loro presente e i loro ricordi che tornano sono il combustibile di una storia che è metafora di una società. Metafora nella metafora, fra macerie e cattivi odori, c’è una discarica fisica che sembra racchiudere mali, nefandezze e problemi della Georgia, terra smarrita come tutte quelle caucasiche, circostanti…

Una danza impercettibile

Il ritratto de La discarica è quello di un popolo mediocre e immaturo, sconfitto e smarrito, una condanna senza appello. La fine delle ideologie non è stata metabolizzata, la noia e l’indolenza sembrano regnare sovrane, molti stanno fermi, chi compie qualche passo, si limita a farne di piccoli e lenti. Una danza impercettibile che non diverte e non rincuora, che non scuote e non riscatta.

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