Prosa lisergica e onirica in “Strega” di Johanne Likke Holm, ma il romanzo è un estenuante esercizio di stile. In un hotel ci sono alcune cameriere che attendono una clientela che non arriverà mai…
Sin dalle prime pagine di Strega (192 pagine, 18 euro), di Johanne Likke Holm, pubblicato da NN editore, mi è apparso chiaro che mi sarei trovato davanti ad un libro assolutamente estenuante, concepito come un inutile esercizio di stile, dove la prosa lisergica e sfacciatamente onirica – in cui a farla da padrone sono le allucinazioni, le esperienze olfattive e sensoriali, le sensazioni amplificate della protagonista – nasconde una tragica, quanto oscena verità: la mancanza di una trama. Insomma, la storia non esiste!
La scomparsa
Ci troviamo dentro un grande albergo nel cuore delle alpi svizzere, sospeso nel tempo e nello spazio, nel quale un gruppo di ragazze, tra cui la giovane Rafa, – le quali convivono come se fossero un unico corpo e un unico cervello – lavorano come cameriere in attesa di una clientela che non arriverà mai. La scomparsa di una di loro, Cassie, dovrebbe imprimere una svolta nella narrazione, cosa che di fatto non avviene. Si acutizzano, invece, le pagine in cui non si dice nulla, in cui si susseguono immagini, sogni, miraggi, alterazioni uditive e chi più ne ha, più ne metta.
Sapori, rumori e odori
La scrittura magica, ma anche gotica, avrebbe un senso se alla stessa si fosse accompagnata una vicenda ben strutturata. Al contrario, tolta tutta l’impalcatura fatta di sapori, rumori e odori non rimane praticamente niente. Se non l’interrogativo su come certi autori e certi libri riescano a trovare una discreta visibilità nel mare magnum della produzione libraria.