Un giovanissimo flâneur, osservatore di dettagli e atmosfere, e i suoi ricordi. “Infanzia alla Bavera” del siciliano Salvatore Cangelosi è un memoir che – con la consueta cura della prosa – racconta la storia d’amore di un bimbo e del quartiere di Monreale in cui è nato e cresciuto, un luogo, non oleografico, non da cartolina, che è anche un sentimento; uno scrigno di storie e personaggi non illustri, raccontati con la lente dell’empatia, a cominciare dall’amata nonna Grazia…
Avere cura dei ricordi, non stropicciarli, è uno dei modi più onesti di stare al mondo. Ne sa qualcosa il siciliano Salvatore Cangelosi, che negli ultimi anni ha messo in fila alcuni preziosi volumi di ricordi, pezzi di vita e professione, squarci sulla vasta cultura vista e vissuta in prima persona. I luoghi della memoria sanno essere sicuri e accoglienti. Ne sa qualcosa il monrealese Salvatore Cangelosi, che in un libro torna ai suoi anni più verdi, nella nota cittadina a una manciata di chilometri da Palermo, in un quartiere che è stato grembo confortevole e ospitale, e trampolino di lancio per l’esistenza che è stata e che continua a essere. Nessun infanzia è priva di terrori, di odori, di immagini felici, di personaggi chiave. Anche quella che racconta Salvatore Cangelosi ha caratteristiche simili, sebbene non sia poi così autoreferenziale, ma allarghi il proprio sguardo a un luogo che è anche un sentimento e a persone in carne e ossa, che non hanno trovato spazio sui libri di storia, ma avevano grandi anime, prime fra tutte la nonna materna: Grazia Intravaia, «austera, dignitosa», «sempre nerovestita», di cui l’autore era il primo nipote e che giganteggia nelle pagine del memoir Infanzia alla Bavera (172 pagine, 15 euro), volume pubblicato da Torri del Vento edizioni. Rimasta vedova a trentacinque anni e con tre figli, per nulla incline a maldicenze e a pettegolezzi, non immune a qualche pregiudizio, scettica sul genere umano, capace di leggere e scrivere e, anche per questo, ricercata nel circondario. L’unica figura capace forse di far vacillare lo sguardo fermo di chi ha scritto Infanzia alla Bavera, occhi e ricordi che tentennano solo al suo cospetto.
Sullo sfondo la linea d’ombra
L’età adulta è una specie di vaccino all’infanzia. Che sia per certi versi, e in alcuni casi, poco efficace è una benedizione. Significa ricordarsi d’essere stati bambini, vuol dire comprendere ancora il significato di quell’età, rendersi conto dei segni che, nel bene o nel male, lascia addosso. La Bavera di Monreale («il marsupio dei miei primi dieci anni»; «un caldo deposito umano di quello che veniva chiamato, con un filo di scherno, il popolino») non è un rione oleografico di certe serie televisive, piuttosto micragnoso e cupo, e pur tuttavia un corpo vivissimo che emerge dalle pagine dell’ultimo libro di Salvatore Cangelosi, studente non modello per sua stessa ammissione, giovanissimo flâneur, osservatore di dettagli e atmosfere. Con la consueta cura della prosa, col gusto per vocaboli ricercati, per il timbro giusto degli aggettivi, si dipanano vicende non da cartolina, ma spesso da linea d’ombra: si assapora l’età giovanissima, si sbircia quella adulta, fra curiosità e primi interrogativi; la voce narrante racconta principalmente gli anni Sessanta, visti da una periferia, e uomini non illustri, inquadrati da un microscopio che non è uno strumento di natura scientifica, ma è fatto di empatia, di solidarietà, di comune vicinanza.
Un vecchio di quasi undici anni
Lo spaccapietre sordomuto, la zia suora, gli avventori della mescita dei vini, l’infermiera che faceva iniezioni a domicilio, i cestai intenti a intagliare e a intrecciare le canne, un frate guaritore, il cinema e il teatro dei pupi. Nel piccolo mondo antico della Bavera ci sono storie e sfilano personaggi, non da cartolina, che portano via il lettore, che riescono a catturarlo nel giro di una pagina o anche solo di poche righe. Raccontano di un amore fortissimo e straziante, esaurito più o meno dopo il conseguimento della licenza elementare, quando, scrive Salvatore Cangelosi, «ero un vecchio di quasi undici anni», non più curioso di donne misteriose, botole segrete, vicoli oscuri, tende, proiettato altrove, verso l’avvenire, verso il caos e le fantasticherie di Palermo…
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