Torna un racconto giovanile, “Una di maggio”, dello storico dell’ebraismo Riccardo Calimani, rivisto dall’autore. Nella Laguna di fine anni Sessanta si consumano le giornate di un giovanotto ebreo di tante malinconie e vari flirt, Emanuele Nissim. Giornate scandite dagli incontri con un’aristocratica zia, custode di storie giudaiche, e dagli appuntamenti con la seducente Giulia. Nuova puntata della nostra rubrica Area 22 (qui tutte le puntate precedenti), dedicata a letteratura e cultura ebraica
Marsilio, 1975. Mondadori, 2012. Bibliotheka, 2024. Una casa editrice romana, e indipendente, ha ridato vita a un testo che si era perso in cataloghi certamente illustri – ma che non si sono rivelati davvero accoglienti – ha riportato a galla, in un’edizione rivista dall’autore, il primo romanzo, poco più di un racconto, di Riccardo Calimani, studioso di fama, storico dell’ebraismo tra i maggiori di sempre. Narratore riluttante, se si pensa che le sue opere romanzesche si riducono ad appena tre episodi, mentre la produzione saggistica è sterminata. L’operazione è tutt’altro che fine a se stessa, perché Riccardo Calimani, classe 1946 e autore di Una di maggio (109 pagine, 16 euro) nel 1975, ritorna sui suoi passi quasi mezzo secolo dopo, accogliendo in qualche modo riserve e consigli di illustri lettori. Un paio, Geno Pampaloni e Andrea Zanzotto, lo lodarono – i due testi si possono leggere in appendice al volume – con paragoni da fare arrossire ma lo pungolarono anche. E Riccardo Calimani ha avuto tempo per meditare, decidendo di rivedere quella che era a tutti gli effetti un’opera giovanile.
Due donne
In Una di maggio – prosa moderna e piena di ritmo – ci si trova catapultati in una Venezia «festosa e decadente» o «che ha l’aspetto irreale delle cose sognate», in un Italia di fine anni Sessanta in cui l’unica compagnia telefonica si chiamava Sip, davanti a un giovanotto di vasti interessi (libri e musica, in particolare), tante malinconie e vari flirt, Emanuele Nissim, «un cattivo ebreo assimilato», come a un tratto di descrive tra serio e faceto. Giovane tutt’altro che banale, in bilico fra ciò che ha alle spalle e quel che vede davanti a sé, ma naturalmente molto preso dal presente.
Il passato l’aveva sempre attratto, voleva afferrarne i motivi per capire il presente, per cogliere il senso del futuro. Capire da dove veniva per capire dove andare.
Il presente è la bella e spudorata Giulia Pratesi, con cui si bacia a piazza san Marco e va in giro per le calli della laguna. Il passato gli arriva dall’ottantenne zia Regina Friedenberg – sopravvissuta a due guerre, alle persecuzioni antisemite, ora vedova del marito Ernesto, con figli lontani – dai suoi racconti, dalla sua casa piena di piccole cose di pessimo gusto, di ottimi libri, di un mondo che quasi non c’è più, di una Venezia ebraica di innegabile fascino.