Aurora Venturini, quella bambina chapliniana emarginata…

Una storia famigliare che dalla famiglia prende le distanze, una scrittura che può salvare ma è incapace di essere un antidoto al dolore e alla delusione. “Noi, i Caserta” di Aurora Venturini è la storia di una bimba che brucia le tappe, a un prezzo altissimo…

María Micaela Stradolini, Chela per tutti e per se stessa, è la protagonista di uno dei primi romanzi di Aurora Venturini, pubblicato da Sur: Noi, i Caserta (223 pagine, 17,50 euro), una ragazza contraddistinta da una geniale inquietudine interiore. Cresciuta in una famiglia che definiremmo disfunzionale, tutto fuorché quel nido fiabesco in cui trovare affetto e protezione, in cui si cresce a pane e amore; è qui che Chela conosce presto l’emarginazione, il disgusto e l’inganno ingredienti horribilis che segnano la sua infanzia.

Una madre e un padre

Da un lato, una madre che la rifiuta (e che le preferisce Lula, la figlia più piccola), alla quale rivolge una domanda straziante: “Madre, perché non mi hai voluto un po’ di bene?”, una figura meschina, dedita più a se stessa che all’educazione dei suoi figli e che potrebbe ricordare quella madre dalla quale Aurora Venturini stessa ha cercato di affrancarsi. Come scrive la traduttrice Francesca Lazzarato nella prefazione al libro, “Vita e amori di un’eroina crudele”, l’autrice dopo aver composto la sua prima poesia da bambina e averla recitata di fronte alla scuola ricevendone il plauso, dovette incassare un doloroso commento: “la madre di Aurora, tuttavia, non esitò a sbeffeggiarla dicendo alle insegnanti: ‘Sono sicura che la mocciosa copia dal supplemento settimanale di poesia del sabato’. Un commento che, invece di scoraggiarla, spinse la figlia a fare della scrittura un’ossessione, uno strumento per affermare la propria alterità […] e non soccombere a un ambiente familiare convenzionale e ostile”.

Dall’altro, un padre perennemente chiuso nel suo studio, in cui “leggeva e fumava come sempre”, di cui si ha timore reverenziale, per il quale “ho pianto molto. Per lei mai”, che di tanto in tanto la convoca per guardare negli occhi il frutto del suo “amore”, tra un misto di ammirazione e terrore: “La creatura repellente in cui mi sono trasformata rovista in un vecchio baule pieno di carte, fotografie, relazioni di una maestra e psicologa richieste da mio padre, ansioso di svelare perché mai aveva generato un mostro e scoprire finalmente se era stata colpa sua, o conseguenza di qualche eredità malata da parte materna”.

Dalla soffitta all’arte di allontanarsi

Una bambina chapliniana, come si definisce, “ordinaria e comica”, confinata nella soffitta trasformata in refugium peccatorum, circondata da “oggetti dell’esilio […] misi radici in quella soffitta, e per sempre”, immersa in una fluttuante nuvola blu-lilla, lo stesso filtro colorato con cui riconoscerà, in diversi momenti della sua vita, quell’attimo di improvviso cambiamento interiore dal quale trarre nuove emozioni da catalogare, “era un vero incantesimo, quello del genio della serenità pronto a venire fuori dal vetro blu per scacciare gli orchi angosciosi che avevo portato con me dall’altro lato della Cordigliera”. In questa soffitta è accompagnata da due animali, una civetta e una tartaruga, sfuggiti alla perfidia dell’uomo per i quali un particolare accudimento e affetto diventano metafora di una salvezza empirica, quella dimostrata dal fratellino Juan Sebastián, rinchiuso anch’egli in soffitta, inesistente agli occhi degli altri, ma che in quel suo modo tutto particolare di sillabare il nome della sorella sopravviverà al tempo. Chela brucia tutte le tappe, è superdotata come Aurora Venturini, finisce la scuola esattamente quando gli altri si apprestano a iscrivercisi, divora la poesia, trova nella scrittura, in senso più generale nella letteratura, un affrancamento sociale che le permette di lasciare la soffitta, di affittare un appartamento, di iscriversi all’università e di esercitarsi ogni giorno che le resta nell’arte dell’allontanamento e della distanza per riuscire a cogliere a pieno i contorni di un’identità sfuggente, la sua. È negli anni della maturità che Chela si appresta a conoscere l’amore, un uomo per il quale prova una passione travolgente capace di disperdere desideri e rancori verso il passato; capace di annullare in Chela la percezione di se stessa, “inghiotto i nettari del suo contatto. Un modo per diventare una cosa sola”. Eppure Chela, corrotta dall’influenza che il microcosmo in cui è cresciuta ha esercitato su di sé, non solo è incapace di non provare disprezzo, risentimento e rabbia, ma allo stesso tempo, da antieroina quale è, non ha difese per proteggersi dai risvolti in cui può mutare l’amore.

La disfatta misura del tempo

In una storia in cui è difficile intravedere un lieto fine, in cui la disfatta è il metro con cui misurare lo scorrere del tempo che rimane, Aurora Venturini riapre la ferita più profonda: il confronto con un passato che non è stato sepolto, per Chela arriverà il giorno della partenza, il Cile prima e Parigi dopo (città in cui visse anche l’autrice), il bisogno di assumere nuove sembianze per riconoscere, infine, il punto di ritorno.

Il romanzo di Aurora Venturini si distingue ancora una volta per un intreccio capillare, una storia famigliare che dalla famiglia prende le distanze, una scrittura che può salvare ma incapace di distribuire ai suoi seguaci un antidoto al dolore, alla sofferenza, alla delusione di un abbandono karmico. La notorietà per Aurora Venturini arrivò in tarda età, ottantasei anni, a seguito della pubblicazione de Le cugine (uscito in italiano nel 2022, sempre per Sur e sempre tradotto da Lazzarato), nonostante una vasta produzione di poesia, racconti e romanzi che si distinsero anche per un linguaggio complesso e un abile gioco della parola, che forse proprio dalla poesia mutuava parte del suo universo immaginifico e che tentava di riprodurre su carta e nelle sue storie quella fame compulsiva nutrita per l’indagine interiore, l’umorismo e la costruzione delle apparenze. “Dopo la fama tardiva ma clamorosa conquistata con il romanzo Le cugine, però, buona parte dei testi precedenti vennero ripresi da grandi editori e tradotti all’estero, a volte rivisti dall’autrice, a volte rimaneggiati da editor che intendevano renderli più “adatti” al mercato, normalizzandone almeno un po’ la prosa eccentrica e inclassificabile”, scrive Francesca Lazzarato, un destino quello di Aurora Venturini che l’accomuna ad artiste contemporanee o successive alla sua epoca, per le quali si era sentito il bisogno di tradurle e mitigarle in canoni artistici diffusi e conosciuti, affinché potessero essere apprezzate da un potenziale pubblico eterogeneo e quindi, in ultima battuta: acquistate.

L’anticonformismo

Chela è una donna anticonformista, lo dice Francesca Lazzarato, è una donna in anticipo sui tempi e ha ragione di dirlo, perché María Micaela, in questa storia, vuole determinarsi, conquistarsi un destino diverso da ciò che sua madre un bel giorno le rivela, essere per sempre Chela, quella donna nascosta in una soffitta che per una testarda disobbedienza, allontanata per sempre dalla “casa delle persone”, diventa per gli altri mostro, diventa timore dell’incontrollato, diventa campo di battaglia, ripulita dall’inganno e dalla menzogna si rivela talento incompreso e infine, rinasce dalla cenere: lì dove tutto ha avuto origine.

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