Il ritorno a casa dopo le brutalità della prima guerra mondiale in un romanzo estremo ma affascinante, “Io?” di Peter Flamm. Moglie e familiari riaccolgono il reduce Hans, alle prese con turbamenti e visioni, in cui l’onirico sfuma nel reale. C’è spazio anche per un delitto, ma conta altro, una strana forma di sfasamento emotivo…
Un romanzo per certi versi estremo. Di certo, di non facile lettura, ma assai affascinante. Addirittura imperdibile per chi ama calarsi negli anfratti più bui del nostro io. Che poi è proprio il pronome personale che dà il titolo al libro, anche se accompagnato da un punto interrogativo che aggiunge mistero e appeal. In psicologia – la materia di Peter Flamm, pseudonimo di Erich Mosse, autore del romanzo ripescato per i tipi di Adelphi – l’Io viene considerato una struttura psichica organizzata e relativamente stabile, deputata al contatto e ai rapporti con la realtà. Ecco, è proprio su questa descrizione e sul “relativamente stabile” che Peter Flamm gioca per dare consistenza all’enorme disagio interiore di chi ha vissuto in prima linea una guerra brutale, e che al suo ritorno a casa, tra amici e parenti, fa fatica a riallinearsi alla realtà che aveva lasciato prima di partire per il fronte. Hans – il protagonista – è vivo e contestualmente morto, è vittima e carnefice, agli altri è noto, ma a sé stesso è sconosciuto.
La nevrosi post-bellica dall’interno
Di nuovo è come se ci fosse una lastra di vetro davanti ai miei occhi, bisognerebbe infrangerla, ma non si può attraversarla, non si può…
Una tematica già trattata diverse volte in letteratura (in primis da Erich Maria Remarque in Niente di nuovo sul fronte occidentale), dagli echi pirandelliani, ma che qui viene affrontata in maniera originale, dall’interno verrebbe da dire, il che talvolta – volutamente – finisce per disorientare il lettore. Volendo approntare un altro parallelo, è un po’ quello che ha fatto lo scozzese Irvine Welsh con il famigerato Trainspotting, quando provò ad illuminare da dentro un mondo autolesionistico e a tratti impossibile da comprendere e/o giustificare, come quello dei tossicodipendenti.
Non riesco a trovar pace, qualcosa non quadra, sono cenere nel vento,
sono un fuggiasco da me stesso
L’io frammentato
Con Io? (143 pagine, 18 euro) siamo a Berlino, nel 1918. La Prima Guerra Mondiale si è appena conclusa, e Hans, un giovane ufficiale tedesco, fa il proprio rientro a casa dopo aver combattuto nel macello di Verdun, convinto di aver rubato l’identità ad un soldato morto, un fornaio (Wilhelm) che conosceva prima di partire per il fronte. La moglie e i familiari lo riaccolgono con gioia, ma fanno fatica a capire le reazioni del reduce e spesso lo spaesamento del protagonista viene vissuto con incredulità da chi lo circonda, oltre che con dolore. Le sue visioni si sovrappongono, l’onirico sfuma nel reale e viceversa. Un viaggio nell’inconscio in anticipo sui tempi. Solo il suo cane, col suo fiuto animale, intuisce che “quello” non è (più) il suo padrone, ma una persona ben diversa, profondamente stravolta e cambiata. A ridestare parzialmente l’Io frammentato di Hans è la gelosia per la bella moglie, Grete, quando si rende conto che un magistrato amico di famiglia ha provato ad insidiarla. Per il resto, l’uomo – che di professione fa il medico – stravolge la scala dei propri valori, non si riconosce più nelle abitudini della casa e finirà per macchiarsi di un delitto che non ammetterà mai di aver commesso.
La memoria torna molto lentamente, bisogna darmi tempo, molto tempo, sono come un malato, tutto mi appare nuovo, scopro tutto per la prima volta, e questo è terribilmente stancante; di tanto in tanto ricompare la grande mano nera e di nuovo copre tutto, di nuovo mi ritrovo solo.
Enigma senza soluzione
Il romanzo è stato pubblicato nel 1926 e allora fece clamore. A tratti sembra di aver a che fare con un giallo psicologico perché l’autore dissemina astutamente qua e là indizi che, nella nota finale, il teologo Manfred Posani Löwenstein prova a rimettere assieme: ma non c’è una soluzione all’enigma. Il nodo non è il delitto o la mano che lo confeziona, né tanto meno le atrocità della guerra. Più che terrore o disgusto, si avverte una forma di sfasamento emotivo che però riflette bene lo stato d’animo del protagonista e che quindi ottiene l’effetto necessario e desiderato. Peter Flamm probabilmente rielaborò in modo assai originale – dal punto di vista letterario – un noto processo dell’epoca (processo Angerstein), ma ad influenzarlo potrebbe essere stata soprattutto la morte del fratello maggiore nel 1916 che – non casualmente – si chiamava Hans come il protagonista del romanzo e che – non casualmente – si consumò a Verdun. Lo stesso Flamm ha avuto tra i suoi pazienti ex soldati affetti da shell shock, ragion per cui conosceva bene le nevrosi di guerra e la letteratura clinica relativa. Tutti elementi che è riuscito a mixare sagacemente in questa riscoperta felice di cui adesso Adelphi offre ai suoi lettori la prima traduzione mondiale (a firma di Margherita Belardetti).
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