Sholem Aleichem, amore impossibile tra sorprese e disinganno

“Moshkele il ladro”, tradotto per la prima volta in italiano, non fa parte dell’opera omnia ufficiale di Sholem Aleichem. Racconta uno dei lati oscuri degli shtetl, il mondo della malavita e personaggi poco raccomandabili. Come il protagonista, un ladro di cavalli, protagonista di un singolare riscatto…

Una cruda e crudele umanità popola un racconto “non ufficiale” di Sholem Aleichem, tenuto fuori dall’opera omnia universalmente riconosciuta. Inedito in italiano finora, e non ripubblicato all’estero da decenni, Moshkele il ladro (101 pagine, 12 euro) è un racconto che merita l’attenzione e la passione di chi ama la letteratura tout court e quella yiddish in particolare. In qualche modo è l’equivalente di Keyla La Rossa di Isaac Singer: entrambi inizialmente pubblicati a puntate, e poi caduti nel dimenticatoio, più o meno per volontà degli stessi autori, probabilmente pentiti dei soggetti e degli ambienti ritratti, legati alla malavita e al lato oscuro di certo mondo ebraico, a cominciare da quello degli shtetl. Il volume è edito da Giuntina, tradotto da Daniel Vogelmann e introdotto da Curt Leviant (da tenere d’occhio come autore, in Italia è stato pubblicato da Guanda e Giuntina). Ed è lo stesso Curt Leviant a spiegare come con questo libro Sholem Aleichem – acuto maestro di scintille comiche – si sia spinto in territori fino ad allora (1903) sconosciuti.

La più bella in fuga con un goy…

È in qualche modo la storia di un amore impossibile, Moshkele il ladro. La vicenda paradossale, sullo sfondo della Russia zarista, di una tragedia che s’abbatte sulla famiglia dell’oste Chaim Chosid: Tsirele, la più bella fra le belle figlie di Chaim Chosid, sfugge al proprio destino e fugge con un goy, rifugiandosi in un convento, dove dovrebbe abbandonare la propria religione e sposare il gentile. È qui che il ruolo di Moshkele, già entrato in scena, si fa più prominente che mai. Lui è un audace e robusto ladro, ganev, di cavalli, “mestiere” ereditato dal padre. Uno che non le manda a dire, bravo a menar le mani (specie contro i cristiani che maltrattano gli ebrei), pur soffrendo dell’emarginazione a cui viene relegato da più parti. Matura così un singolare riscatto che tocca ai lettori scoprire, in un lungo epilogo in cui si mescolano felicità e dolore, sorprese e disinganno.

Una favola per ascoltatori/lettori

Il racconto procede come una favola tramandata oralmente, in cui il narratore si rivolge agli ascoltatori/lettori: i capitoli sono brevi quadri, ognuno dei quali spesso rimanda al successivo. Come capita in tanti romanzi yiddish, l’attenzione è mirata sui continui compromessi con il mondo moderno dei microcosmi ebraici. In questo contesto, complici alcune digressioni e momenti di suspense, Sholem Aleichem riesce ancora una volta a catturare chi lo legge, a portarlo in un’altra dimensione. Come un’eterna magia…

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