Le vertigini di labirinti e specchi di Borges, oratore timido

La sapienza che non annoia di Jorge Luis Borges in “Sette sere”, conferenze in forma di saggi su alcune delle grandi ossessioni personali e letterarie del genio argentino. Lucidità, profondità, capacità di spaziare in ogni direzione, parlando di Dante e della Cabbala, della poesia e della cecità…

Un uomo fatto della stessa materia dei libri che ha letto, che ha scritto pagine da cui sgorgano biblioteche, divoratore di letteratura scritta in ogni lingua, ai quattro angoli del globo. Conferenziere timido, come si considera lui stesso. Jorge Luis Borges e le sue opere complete presso Adelphi si arricchiscono di un altro episodio prezioso, Sette sere (189 pagine, 14 euro), traduzione su carta di un ciclo di incontri in un teatro boanerense, versione in italiano del curatore Tommaso Scarano sui testi riveduti e corretti dallo stesso autore argentino. Lucido, profondo, capace di spaziare in ogni direzione, di insegnare senza darlo a vedere. Racconta, esplora, reinterpreta alcune delle più grandi opere di tutti i tempi, Borges, tratta con i guanti le sue ossessioni letterarie, che in certi casi diventano ossessioni personali, come la cecità, «un modo di vivere, un modo non del tutto infelice», «un ulteriore strumento fra i tanti, così singolari, che il destino o il caso ci offrono», «un dono». Un racconto che lo conduce a Omero, Milton, Paul Grossauc e Joyce, a cui non sogna neanche di paragonarsi. Ma chi ha letto Borges sa che non si tratta di accostamenti azzardati…

Tra Shakespeare e Alessandro Magno

Parla, e dunque scrive, di libri classici e di libri sacri, Borges, scrive di poesia che «sentiamo come sentiamo la vicinanza di una donna, o una montagna», scrive saggi che finiscono per essere racconti, pezzi di vita, plurimi punti di vista, scrive di Cabbala per ricordarsi e ricordarci l’idea «che in ciascuno di noi ci sia un granello di divinità. Questo mondo, palesemente, non può essere opera di un Dio onnipotente e giusto, ma dipende da noi salvare questa parte di divinità». Parla di grandissimi libri e di temi immensi, anche attraverso le proprie opere, ma soprattutto con il supporto di Shakespeare e Oscar Wilde («un uomo profondo che cercava di sembrare frivolo»), Gershom Scholem e Alessandro Magno, ovvero una sua versione romanzesca e leggendaria (condottiero che «non muore a Babilonia a trentatré anni», ma scompare e riappare in Oriente come soldato semplice dalle mille avventure, sembra di leggere Qui il sentiero si perde di Peské Marty – in cui il protagonista è uno zar – di cui abbiamo scritto qui).

Erudite corrispondenze

La bellezza ci insidia. Se avessimo sensibilità la sentiremmo nella poesia di ogni lingua.

Sono conferenze di vertigini, specchi e labirinti, di illusioni e di infinito, quelle che Borges offre, sebbene sostenga di non avere particolari doti da oratore. C’è la venerazione per Dante e per la sua Commedia, nuova a ogni lettura, e «che durerà oltre la nostra vita, ben oltre le nostre veglie e sarà resa più ricca da ogni generazione di lettori». Ci sono intense riflessioni su sogni e incubi ed erudite corrispondenze nel tempo e nello spazio, che ancora una volta ci fanno pensare che in Jorge Luis Borges umanità e bellezza rivaleggino con la cultura. Che parli di tolleranza e assenza di dogmi del buddhismo, o si soffermi sui sogni come «opera estetica», Borges è sempre sapienza che non annoia.

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