Nunzio Primavera, l’Italia agricola tra vecchi e giovani

Donne, giovani, anziani, generazioni che seguono il corso della storia d’Italia in “Gibildonna” di Nunzio Primavera. Le vicende di un nucleo familiare, in origine di coloni, alle prese con crisi energetica, siccità, cambiamenti climatici, ma anche caporalato e integrazione degli immigrati

Lavoro, fatica, resilienza. E ancora riscatto, passione, dignità. Sono solo alcune delle caratteristiche della famiglia Labò, piccoli coloni che, nel dopoguerra, con la Riforma agraria, diventano coltivatori diretti, piantando filari di vigne e mettendo anima e cuore nella produzione di vini pregiati.

Il periodo storico raccontato da Nunzio Primavera in Gibildonna (512 pagine, 20 euro), pubblicato da Laurana, è certamente rappresentativo ed emblematico di un grande cambiamento avvenuto in Italia all’epoca della ricostruzione, allorquando la terra fu redistribuita ai contadini con la più grande redistribuzione di ricchezza mai avvenuta in Italia. Cessate le ostilità il 25 aprile del 1945 l’Italia era liberata, ma restavano gli effetti della guerra in un Paese che tra il settembre 1943 e l’aprile 1945 conosceva il peso della distruzione prodotta sia dalle truppe tedesche in ritirata, sia dai numerosi e violenti bombardamenti alleati. L’agricoltura era sconvolta. Scarseggiavano, o mancavano del tutto, fertilizzanti, carburante, macchinari per la ripresa del settore agricolo. Di fronte alla situazione generale e alla difficoltà di ripresa della produzione, i governi postbellici guidati da De Gasperi tra il dicembre 1945 e l’agosto 1953, impostarono una serie di provvedimenti per ricondurre con relativa rapidità il Paese fuori dall’emergenza. In agricoltura le scelte per la ripresa del settore si posero tre obiettivi principali: il raggiungimento dei livelli prebellici, il recupero della normalità sociale e la definizione di un differente assetto del rapporto tra terra e proprietà. La nascita della Confederazione nazionale dei coltivatori diretti nel 1944 e la serie nutrita di provvedimenti a favore della piccola proprietà coltivatrice, nel giro di qualche anno riuscirono con fatica a contenere i vasti fermenti del mondo rurale.

La storia di una famiglia

In alcune zone del Paese, in particolare in Sicilia, alla protesta per motivi contrattuali si sovrapponeva lo scontro politico per l’autonomia dell’isola e il punto più elevato delle ostilità fu rappresentato dagli episodi delittuosi di Portella della Ginestra del 1° maggio 1947, apice di altri episodi di scontro violento protrattisi per anni. La mediazione del presidente del Consiglio attenuò la fase violenta e sanguinosa della lotta nelle campagne sia attraverso l’accordo tra proprietari e coloni pattuito nel “lodo” e definito “tregua mezzadrile”, sia nella successiva attivazione della legge di proroga dei contratti di mezzadria in cui venivano stabilite le nuove percentuali di divisioni tra le parti. La spinta alla formazione della piccola proprietà coltivatrice era dunque una caratteristica delle scelte politiche.

Ma il racconto di Nunzio Primavera non è solo un resoconto della situazione storica o politica, è la storia di una famiglia. Nel baglio Labò, nucleo da cui tutto ha origine e a cui tutto ritorna, nascono e tramontano amori lunghi e travagliati. È la storia di un luogo attraverso i suoi abitanti. Come tutti i coltivatori, nel corso degli anni, la famiglia Labò si troverà ad affrontare ogni tipo di ostacolo: dalla crisi energetica alla siccità e ai cambiamenti climatici, confrontandosi con le emergenze alimentari, l’allarme metanolo, il caporalato e l’integrazione degli immigrati.

Le crisi petrolifere del 1973 prima e del 1979 poi sono considerate la scintilla e il comburente della deindustrializzazione dell’Occidente, ivi compresa l’Italia. In Sicilia si presenta uno scenario caratterizzato per lo più da dismissione degli impianti, disimpegno delle grandi imprese industriali, tentativi di riconversione e accenni di bonifica. Le zone investite dall’insediamento di poli industriali nel secondo dopoguerra vengono inserite tra le aree ad alto rischio di crisi ambientale e in conseguenza di ciò si apre la stagione, partita a stento e lungi dall’essere conclusa, delle bonifiche come intervento ambientale tardivo, solo perché l’industria arretra senza neanche rimettere a posto ciò che aveva scombinato.Ma il lascito dell’industria cosiddetta pesante, con ritmi elevati di crescita economica, la ricchezza dovuta a migliaia di posti di lavoro e investimenti pubblici mai visti primi, è ancora più controverso perché nel complesso tutto ciò ha finito per plasmare un ambiente sfavorevole allo sviluppo autonomo, cioè l’ubriacatura da tanto benessere improvviso ha limitato la capacità di pensare a percorsi di crescita alternativi e capaci di autosostenersi.5

Due mondi che si incontrano

Non si può costruire nulla di solido che sia esule o estraneo al territorio nel e sul quale si intende portare avanti un progetto. È esattamente quello che sembra voler trasmettere al lettore Primavera con il suo racconto della famiglia dell’anziano Nino e di sua moglie Rosa. Due mondi che si incontrano e si fondono con il territorio, con il terreno sul quale si trova il vigneto primigenio da cui nascerà il loro vino, fulcro dell’intera azienda. Le conoscenze e le capacità di Rosa, piemontese di origine, si uniscono alla passione e alla tenacia di Nino. Insieme all’azienda i due costruiscono anche la loro famiglia. Ed è sulle vicende di quest’ultima che ruota il secondo fulcro del libro, intrecciato al primo. Cosicché Gibildonna risulta una vera e propria saga familiare che racconta le storie dei vari componenti la famiglia in un lasso temporale che va dal secondo Novecento ai nostri giorni.

I componenti la famiglia Labò sono riusciti a cambiare le loro vite, passando dall’essere coloni a coltivatori diretti, grazie alla Riforma agraria del dopoguerra. Hanno vissute numerose difficoltà e affrontato diversi problemi interni ed esterni all’azienda fino ad arrivare a oggi. Un periodo storico in cui il problema dello sfruttamento dei lavoratori della terra si ripropone con più forza che mai.

Il caporalato è un fenomeno che nel dibattito politico italiano è collegato esclusivamente all’immigrazione nel Mezzogiorno, ma di fatto è una pratica che esiste in Italia, almeno dagli anni ’70, e riguarda tutto il territorio nazionale.

Lo smembramento del latifondo

Il tema della Riforma fondiaria, della distribuzione della terra ai contadini, ha attraversato tutto il Novecento. Lo smembramento del latifondo appare lo strumento principale per trasferire le terre dai grandi proprietari che ne utilizzavano le rendite senza occuparsi di migliorare quantità e qualità dei prodotti, verso la piccola proprietà terriera, ritenuta più dinamica e interessata alla modernizzazione dell’agricoltura, preferita a soluzioni di tipo cooperativistico ritenute meno affidabili dal punto di vista politico.

I dati forniti da ISTAT-RCFL rivelano che l’indicatore di irregolarità complessivo è pari all’11.3%, ma sale al 23.2% in ambito agricolo mentre nel lavoro domestico raggiunge addirittura il 51.8%. I lavoratori stranieri sono inseriti in settori in cui è più frequente il ricorso a forme di irregolarità e sfruttamento. Per cui è abbastanza chiaro che, all’incirca settanta anni dopo la Riforma, i terreni e l’agricoltura in Italia hanno visto una redistribuzione e un ammodernamento eppure sfruttamento lavorativo e caporalato persistono.

Ma dietro e al di là di queste storture c’è tutto un mondo contadino che lavora, giorno dopo giorno, la terra e lo fa da generazioni. Come la famiglia Labò raccontata da Nunzio Primavera. Quattro generazioni che hanno sempre lavorato e lottato contro le avversità principalmente per restare nella legalità. Una determinazione che non conosce limiti, esattamente come la forza delle donne raccontate dall’autore, che hanno una tempra tale da riuscire a farsi artefici del proprio destino. Una forza silenziosa. Una marea che avanza e può cambiare il mondo. Per contro poi, ci sono i giovani, le nuove generazioni che invece urlano a gran voce la loro voglia di emergere. Due mondi opposti che, alla fin fine, a ben guardare, viaggiano sullo stesso binario.

Il sottotitolo (La terza età che non desiste) del libro di Primavera enuncia quello che sembra essere il fine ultimo del libro: raccontare l’evoluzione dell’agricoltura in Italia attraverso quanto accaduto a una famiglia molto legata alla terra e al vigneto e farlo per sottolineare l’importanza e l’utilità delle “vecchie” generazioni, la necessità della loro saggezza, la tenacia e la forza di una terza età che non desiste. E che non può proprio permettersi di farlo in un Paese, come l’Italia, dove il tasso di natalità è sotto i minimi storici e l’età media della popolazione è salita a livelli mai visti finora. Una terza età che proprio non può permettersi di mollare perché sulle cui spalle ancora grava il peso di buona parte del Paese.

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