L’abitudinario Gualtiero Bova, commissario ligure trasferito in Piemonte e personaggio di grande potenziale narrativo, è un nuovo protagonista seriale di Orso Tosco, già autore di distopie e scrittore di viaggi. Un mondo criminale di provincia (ma non solo) e l’omicidio di una ragazza “sfregiata”…
Un noir (quasi) mediterraneo in salsa verde. Si può descrivere così, con una metafora che attinge all’immaginario della letteratura e a quello della gastronomia, L’ultimo pinguino delle Langhe (270 pagine, 17 euro), romanzo dello scrittore e sceneggiatore Orso Tosco edito da Rizzoli nella collana Nero Rizzoli.
Trasferimento e contraddizioni
Un esordio nel campo della narrativa poliziesca, dopo le incursioni nella letteratura distopica e nella scrittura di viaggio, per il quale Tosco sceglie un’ambientazione non canonica (anche se con qualche precedente) ovvero le Langhe, che da luogo ameno – fatto di cantine, osterie e vita lenta – si trasformano in uno perfetto sfondo criminale.
È in questo scenario che conosciamo Gualtiero Bova, commissario quarantacinquenne di origine ligure da poco trasferito a Mondovì per una promozione che ha, tuttavia, il sapore di una punizione.
Soprannominato il “Pinguino”, per via del suo aspetto e del suo modo di camminare, Bova è una figura singolare e ricca di contraddizioni, capace di mescolare razionalità e istinto, cinismo e malinconia (per la sua terra, per il suo mare e per Ava, la donna che ama e che da anni vive in coma). Un uomo abitudinario, che gira perennemente in compagnia della sua bassotta Gilda Gildina, che fuma la pipa, ascolta dub reggae e che ogni lunedì è solito assumere delle microdosi di LSD grazie alle quali amplifica le sue sensazioni durante le indagini e, verosimilmente, lenisce i suoi dolori.
Una svastica sulla schiena
Al centro del racconto c’è l’omicidio di una giovane ragazza il cui cadavere sarà ritrovato da Rufus Bloom, broker svizzero proprietario di una villa nelle Langhe, il quale durante una corsa mattutina (ma con un tragitto diverso da quello consueto) si imbatterà nel cadavere costatando suo malgrado che l’assassino ha tracciato sulla schiena di lei una svastica e la parola “Bloom”. È questo l’incipit di un caso che vedrà Bova e i suoi collaboratori – Raviola, Telesca Listeddu – muoversi tra le colline delle Langhe, imbattendosi in un mondo criminale di provincia (ma probabilmente non solo) che mette insieme affari, sesso, passioni, ricatti, droghe e rituali oscuri.
Nel corso delle indagini, Orso Tosco presenterà non solo i protagonisti della vicenda stessa, come Rose Bellamy, affascinante futura sposa di Bloom, Franchino, ex circense e criminale tuttofare, lo scrittore Jacopo Zago e la moglie Ambra Cometto, ma anche un microcosmo di personaggi probabilmente destinati a popolare l’universo seriale a cui L’ultimo Pinguino delle Langhe dà avvio. Tra questi Gemma, proprietaria della trattoria Nisurin nella quale Bova è solito pranzare, Giobatta, silenzioso vecchietto con il quale il commissario si intrattiene a fumare la pipa, il pubblico ministero Olga Rama, che Bova ammira e teme allo stesso tempo, e soprattutto il Notaio, figura enigmatica dai tratti tanto eccentrici quanto crudeli e che verosimilmente risiede ai vertici di un’organizzazione criminale di ampio respiro.
La Liguria e gli omaggi
Al fianco di queste figure, incontriamo anche i personaggi che abitano l’altrove di Bova ovvero la sua Liguria: la mamma Piera, che comunica con lui attraverso messaggi vocali, la dormiente Ava, il cui coma è avvolto nel mistero, l’amico chimico che procura regolarmente al commissario l’acido lisergico, il fratello giramondo Vlasco e, infine, il tanto amato mare nel quale Gualtiero Bova ama immergersi e nuotare anche fuori stagione.
Con una trama mai scontata e un’evoluzione narrativa ricca di interessanti cambi di rotta, L’ultimo pinguino delle Langhe costituisce un esordio brillante per il noir italiano. Un romanzo che ha il merito di portare sulla scena un’ambientazione quasi mediterranea – divisa a metà tra il Piemonte e la Liguria – e soprattutto un personaggio che esprime, già in questo primo capitolo, un potenziale narrativo non indifferente. Un commissario che condivide con i suoi colleghi “più anziani” degli elementi distintivi che ben si inseriscono nella tradizione e nei topoi del genere: fuma la pipa come Maigret; ama il mare e la cucina come Montalbano e Montale, ma contrariamente a loro ne vive esperienze differenti, abitando lontano dal primo e frequentando la seconda in maniera insolita (Bova ama mescolare il dolce e il salato e non rispettare l’ordine canonico delle portate); lavora lontano dalla sua città d’origine come Schiavone e Lo Jacono. Degli omaggi, o forse dei divertissement, che Orso Tosco porta su carta e che tracciano la linea per un racconto seriale certamente destinato a proseguire.
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