È un evento letterario la pubblicazione di “Non aspettatemi ad aprile” del peruviano Alfredo Bryce Echenique. Storia drammatica, ironica, nostalgica, che inizia negli anni Cinquanta del secolo scorso e va avanti qualche decennio. Protagonisti – tra realismo e parodia – i rampolli della futura classe dirigente, in particolare Manongo e Tere, e il loro amore che sembra non compiersi mai…
Bisognerebbe festeggiare e brindare, scendere in piazza. Quasi trent’anni dopo la sua pubblicazione, anche in Italia si può godere della lettura di una delle principali e più ambiziose opere del peruviano Alfredo Bryce Echenique. Con la proposta di Non aspettatemi ad aprile (720 pagine, 32 euro) le edizioni Medhelan mettono a segno uno degli eventi letterari degli ultimi anni, rilanciando il grande scrittore peruviano, a lungo tradotto in Italia da Guanda, ma senza la giusta fortuna e attenzione, anche critica. Classe 1939, trasferitosi in Europa (Francia e Spagna le sue patrie d’elezione) quando aveva venticinque anni, Alfredo Bryce Echenique ha mietuto successo e premi fin dagli anni Settanta, ma con questo mastodontico romanzo scritto in un paio d’anni, alla cui traduzione ha lavorato Giuliana Calabrese, si è superato.
Lacrime e risate
Ironia e nostalgia sono le parole d’ordine che ci conducono nel Perù degli anni Cinquanta del secolo scorso. Alfredo Bryce Echenique lo racconta al tempo stesso in modo spietato ma con humor. Ricollegandosi in qualche modo alle atmosfere di Un mondo per Julius (il suo primo romanzo, smaccatamente autobiografico), scrivendone un ideale seguito anche se non ci sono connessioni dirette tra le due storie e i loro personaggi. In Non aspettatemi ad aprile, senza lesinare risate e lacrime, racconta la mediocrità dei rampolli adolescenti dell’alta borghesia di Lima e un collegio d’ispirazione britannica (ma una cosa è la teoria, un’altra la pratica…) che dovrebbe forgiare la futura classe dirigente, alternando realismo e parodia, catturando sempre l’attenzione di chi si avventura fra le sue pagine. L’obiettivo è principalmente puntato sull’amore tra Manongo Sterne Tovar e Teresa Mancini Gerzso. Il primo, sognatore a occhi aperti e – si vedrà nell’arco di qualche decennio – mascalzone niente male, la seconda, Tere, figlia di ricchi proprietari terrieri. Il romanzo, mentre segue le scosse telluriche di decenni di tumultuosa storia politica peruviana (tra corruzione, terrorismo, caos), non li perde di vista.
Un finale impeccabile tra dolcezza e mestizia
Decadenze e partenze, montagne russe personali e collettive, fallimenti e rimpianti, il Perù, ma anche il resto del mondo girato in lungo e in largo. E un cameo niente male di Tyrone Power. Non aggiungeremo molto altro: sono pagine da scoprire, leggere, amare, è un libro da procurarsi in fretta e a cui consacrare le più belle ore libere dalle incombenze della vita. Il romanzo di Alfredo Bryce Echenique (che, sempre e ancora, dichiaratamente guarda a Laurence Sterne, e forse un po’ anche a Fitzgerald, più che ai colleghi del boom latinoamericano), nonostante le dimensioni, scivola, anzi precipita felicemente nelle ultime magistrali cinquanta pagine, che incarnano con dolcezza e mestizia un amore impossibile. È il 1981 e Manongo Sterne Tovar, magnate giramondo, atterra a Lima, con un aereo partito da Parigi, supera la dogana col suo passaporto svizzero ed è accolto, a casa, dalla madre, Doña Cristina, che lo apostrofa con poche significative parole: «Colui che è tornato per amore». Quando Manongo le chiede di Tere (segni particolari: fa scorpacciate di panini), la madre lo rassicura: «Divorziatissima e a chiedermi più lei di te che tu di lei, figliolo». È il preludio di un appuntamento fra due ultraquarantenni, di un ballo in cui lui pesta i piedi a lei, come sempre. Il resto è un finale così impeccabile – protagonisti sempre e per sempre «l’uomo più goffo e imprudente del mondo», e la donna «così impreparata e così inadatta all’amore» – che lettori e scrittori dovrebbero leggere e rileggere a lungo…
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