La nascita del male e il ricorso alla violenza in una coppia. E come questa diventi una storia collettiva, politica e sociale. È la parabola di “Magnifico e tremendo stava l’amore” della poetessa Maria Grazia Calandrone, nella sua nuova prova narrativa. Un libro che chiama uomini e donne a una responsabilità…
Il male ha tante forme, riconoscerlo consente di alleviarne gli effetti, di combatterne le cause, di mitigarne la crudeltà e il dolore. Nominare i tanti modi in cui il male si manifesta è un esercizio utilissimo al genere umano. La letteratura diventa cura, prisma di verità, proprio quando riesce a dissezionare cose come il male, il bene, il dolore, la rabbia, la speranza, e renderle nominabili.
Una sentenza storica
Maria Grazia Calandrone (qui una sua intervista sul nostro canale YouTube) scrive un libro che riesce a fare questo, ad entrare in una storia di dolore, morte, violenza, di esistenze rovinate, e andare a cercare i mille istanti in cui tutto ciò si forma, cresce. Un caso di cronaca avvenuto nel 2004, e conclusosi, almeno processualmente, nel 2014 con una sentenza che è giusto definire storica e ricordare ancora, ricordare proprio ora. Una storia di violenza domestica, maschile, di cultura patriarcale, del suo disfacimento rovinoso fino al ribaltamento, ma esposta senza il ricorso a schemi semplificatori, senza che nessun personaggio e nessun episodio diventi prototipo e replica, anzi indagando e mostrando al lettore lo specifico della storia di Luciana e Domenico, due ragazzi innamorati, due genitori affettuosi, poi due esseri schiavi della violenza di lui, immersi in uno schema drammaturgicamente tragico, bloccato, senza alcun esito possibile se non catartico.
La distruzione di una famiglia
Magnifico e tremendo stava l’amore (336 pagine, 20 euro), edito da Einaudi, indaga proprio la nascita del male, la bestia dell’ossessione maschile, poi il ricorso continuo alla violenza fisica, la distruzione di quella che era una famiglia, la vita dei bambini costretti a vedere la madre picchiata, offesa, il padre in preda all’insensatezza. E dà conto anche della reazione di Luciana, le denunce e le ritrattazioni, la debolezza dell’azione legale, l’insufficienza delle leggi in vigore fino ad alcuni decenni fa. Diventa allora una storia collettiva, politica e sociale, che porta la storia di una donna e di un uomo a diventare la storia di una nazione.
L’Italia tra individualismo e benessere
Questa terza opera in prosa di Maria Grazia Calandrone offre diversi livelli di lettura, e diversi registri di scrittura. La storia personale, abbiamo detto: l’amore di due giovani calabresi, i rapporti tra genitori e figli in un decisivo passaggio generazionale, il naufragio dei sogni cui Luciana per lungo tempo non si rassegna, nella vana speranza che la storia ritorni sui binari che aveva immaginato, che le erano sembrati normali. La storia delle trasformazioni dell’Italia negli ultimi decenni del secolo scorso: l’individualismo che diventa modello sociale, il benessere economico che assurge a misura del successo umano, e in questo un modello maschile in cui si saldano potere, soldi, arroganza, rappresentato icasticamente dalle vicende politiche di Craxi e Berlusconi (assai diverso il giudizio sui due modelli che traspare dalle parole dell’autrice). La forza dell’amore che agisce sugli esseri umani trasformandoli, o piuttosto compiendoli, facendo sprigionare tutto ciò che possono essere, la forza estrema e il coraggio della protagonista, la determinazione di Fabrizio, professionista dalla vita solida e tranquilla, che per amore di Luciana si fa complice dell’occultamento di un cadavere, la violenza di Domenico.
Dalla poesia al dossier
I registri stilistici variano, seguono i temi e i toni. Si avvicinano alla poesia, a volte, anche con la bella idea di usare l’a capo dentro il testo in prosa, spezzando la formattazione, a segnare il cambio di ritmo. In altri passi assumono la forma asciutta e precisa del dossier, processuale, storico, documentato. Una varietà equilibrata che stona soltanto nelle pagine iniziali, quando, per volere descrivere la forza raggiante dell’innamoramento, Calandrone eccede in metafore e descrizioni, ed è tutto un avvampare, luccicare, sciogliersi, volare, cielo che si “posa sul mare dopo il tramonto come una tenda piatta color malva”, luna “enorme, gialla e come vivente sopra l’acqua”, che “specchia in mare il suo disco remoto e il mare agita la superficie di quella grande moneta calcarea”. “L’innamoramento, si sa, rende enfatici, pieni di energia e, sotto molti aspetti, visionari”, dice appunto Calandrone in un passaggio. E forse vuole dimostrare che ciò non vale solo per gli innamorati ma anche per chi li descrive.
Alla fine il cerchio si chiude brillantemente, saldando la storia raccontata alla vita stessa dell’autrice, annodando insieme le storie di Luciana, la protagonista, e Lucia, la mamma dell’autrice, e nei loro esiti così distanti portandoci a cercare qualcosa di più profondo, chiamandoci ad una responsabilità che è nostra, di donne e uomini di oggi, perché meraviglioso e tremendo resti l’amore, e libero.
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